Primi sei mesi di presidenza sulle “montagne russe” per Donald Trump, suggellati da un gran finale: la notizia di un secondo colloquio “segreto” con il capo del Cremlino Vladimir Putin, a margine del G20 di Amburgo, andato avanti per un’ora ma di cui non c’è traccia nei verbali dell’amministrazione. E se la Russia è stato il leitmotiv dei primi 6 mesi di presidenza ed è facile prevedere che lo sarà anche nei prossimi, Trump ne esce malconcio anche sul fronte legislativo.
Il collasso in Senato della riforma della Sanità per rimpiazzare l’Obamacare è una clamorosa debacle politica per “The Donald” che ne aveva fatto un mantra elettorale e che è stato tradito dal suo partito, quello repubblicano, che controlla sia Camera e sia Senato.
Trump, sempre più accerchiato dalle indagini sul Russiagate, ha archiviato il suo primo semestre alla Casa Bianca con indici di popolarità in picchiata (lo sostiene il 36% degli americani, secondo Washington Post-Abc, contro il 42% di aprile), alla pari con Gerald Ford, il presidente che sostiuitì Richard Nixon, costretto alle dimissioni nell’agosto del 1974 perché travolto dallo scandalo Watergate.
Non è cosa di tutti giorni ritrovarsi al centro dell’indagine di un procuratore speciale a soli sei mesi dall’insediamento. Nixon era al suo secondo mandato. Trump, che ha tenuto una sola vera conferenza stampa alla Casa Bianca da quando è stato eletto dichiarando guerra ai media e prediligendo Twitter, ha sostenuto di aver superato i suoi 6 predecessori per numero di provvedimenti legislativi fatti approvare in 6 mesi: 42 ha detto, “un po’ meno di Roosevelt che però aveva una Depressione da gestire”.
Ma le cose non stanno esattamente così. Jimmy Carter firmò 70 leggi nei suoi primi 6 mesi e Bill Clinton 50. Barack Obama si è fermato a quota 39, ma tra i provvedimenti firmati figurano il salvataggio di Wall Street, l’estensione della copertura sanitaria per i bambini, la parità salariale per le donne. Quindici dei provvedimenti approvati da Trump non sono che una revisione delle regolamentazioni dell’era Obama che è determinato a smantellare mentre 14 riguardano il cerimoniale.
Il “muslim ban” è stato bloccato dai giudici e poi solo parzialmente riabilitato dalla Corte Suprema in attesa della pronuncia definitiva ad ottobre. Non ci sono nuovi fondi per il decantato muro al confine con il Messico, la riforma fiscale è allo stato embrionale, le proposte per il rilancio delle infrastrutture è nel limbo. Aveva promesso di cancellare l’accordo sul nucleare iraniano e ne ha certificato per due volte il rispetto dei termini da parte di Teheran.
L’unica operazione che gli è davvero riuscita fino a questo momento, oltre ad aver annunciato il ritiro dagli accordi sul clima di Parigi, è la nomina del giudice conservatore Neil Gorsuch alla Corte Suprema. E’ una carica a vita e Gorsuch, con i suoi 49 anni, è destinato a far pesare la sua voce a lungo. La Corte Suprema è l’organismo che più di ogni altro scolpisce i tratti della società americana. I nove giudici della più alta corte Usa emettono le sentenze congiuntamente, a maggioranza. Con due altri due giudici verso la pensione, il conservatore moderato Anthony Kennedy (spesso vicino alle posizioni dei democratici) e l’icona liberal Ruth Bader Ginsburg, Trump ha l’opportunità di nominare altri due giudici conservatori, garantendo loro la maggioranza (5 a 4) alla Corte Suprema per decenni.