Se vi fa strano leggere che Ryanair è una startup, non avete capito cos'è una startup

Una discussione illuminante su un gruppo Facebook ha fatto emergere molti limiti italiani sulla cultura delle startup

Se vi fa strano leggere che Ryanair è una startup, non avete capito cos'è una startup
 (Afp)
 Michael O'Leary Ryanair

Un post sul gruppo Facebook di Italian Startup Scene stamattina mi ha incuriosito molto. Ha scatenato il tread di commenti più significativo tra quelli che ho letto ultimamente da quelle parti. Lo ha pubblicato Stefano Bernardi, che Italian Startup Scene (23mila persone, il gruppo più grosso dedicato alle startup italiane) l’ha creato. Scrive Bernardi: “Se una startup irlandese dovesse comprarsi la nostra compagnia di bandiera sarebbe una bella metafora per un po’ tutto il paese”, mettendo un link di Reuters di qualche giorno fa quando Ryanair ha presentato un’offerta non vincolante per Alitalia

Bernardi, che è un imprenditore seriale e un investitore (è il cofondatore prima di una startup Kickpay  e oggi di Mission&Market, un fondo di venture capital) ha definito Ryanair una startup. Ma la metafora veramente significativa è diventata non la possibile acquisizione di Alitalia da parte della compagnia irlandese, ma la discussione che si è sviluppata sotto. “Ma come, Ryanair una startup?” si sono chiesti in molti ironizzando sulla definizione di Bernardi. “Ma come fa ad essere una startup, ha più di 3 anni!” gli fa eco un altro. Qualcosa che mi ha ricordato commenti analoghi a quelli che ho ricevuto io quando in un articolo per Agi.it avevo allo stesso modo definito Ryanair una startup, causando gli stessi commenti, la stessa ironia di quelli che sembrano sempre 'aver letto una pagina in più del libro'. 

Perché non è sbagliato dire che Ryanair è una startup

Il punto è che Bernardi per me ha perfettamente ragione. Ha usato il concetto di startup riconosciuto a livello internazionale, lui che, romano, 30 anni, ha fatto startup e venture business in Silicon Valley, dove ha vissuto a lungo prima di tornare in Italia. E si è saputo difendere molto meglio di me. Leggete: “Lo so che qui in Italia vi piace definire startup solo società da tre persone, ma io ho una definizione diversa che include cose come Ryanair, Facebook, Amazon”. 

Ma cos’è una startup? Chi ha avuto modo di leggermi in passato sa che ripeto spesso la definizione di Paul Graham, il fondatore dell’acceleratore di startup più importante al mondo (Y-Combinator) che definì le startup come “Business designed to grow fast” (Un’azienda fatta per crescere velocemente, sul mercato ndr). O, per dirla con Bernardi, “Una qualsiasi società che abbia come scopo l’hyper-growing”. 

Non c’entra l’età, non c’entra l'utile, non c’entra l’anno di fondazione, non c’entra il numero dei dipendenti, ma nemmeno il fatto che sia o meno digitale. Questa è un’idea che abbiamo creato un po’ dal nulla in Italia, per scopi burocratici, nobili, ma che nel vocabolario internazionale non hanno molto senso. Una startup è un'azienda che cresce tanto e che continua a crescere tanto cambiando radicalmente i propri mercati di riferimento. Amazon, Ryanair e Facebook comprese. 

“Ma come, Amazon è un’azienda quotata!” fanno eco ancora i commenti a quel post, ma se avete seguito fin qui il mio discorso avrete capito che nemmeno questo argomento ha senso. Un altro ancora riporta la definizione di Cambridge (sic!). Un altro una serie di definizioni prese da Forbes (arisic!). Uno da un manuale di economia. Ognuno ha la sua idea, la sua definizione personale di startup. Si fa alla gara degli allenatori di calcio, dove ognuno ha la formazione vincente. Grande sport nazionale. Come grande è la confusione sopra e sotto quel post su Facebook, souvenir d'Italie.   

Un problema di provincialismo, e di calcio

La vera metafora di quel post da manuale non è la startup che si compra Alitalia, ma che sono emersi tutti i limiti di quello che gli addetti del settore definiscono ‘l’ecosistema delle startup italiane’, e più in generale della discussione pubblica in Italia:

  • una buona dose di provincialismo,
  • la voglia di dire qualcosa a difesa della propria idea prima di domandarsi come stanno le cose e magari cercare di capirle,
  • e una pressoché assoluta incapacità di guardare fuori dai confini nazionali
  • (metteteci pure i social: un genio -italico- totale tra quei commenti sostiene che la sua definizione di startup era la comunemente accettata perché in molti dicevano la stessa cosa o mettevano like ai suoi commenti). 

In una recente intervista, Elserino Piol, il padre del venture capital italiano, e quello che per primo ha messo i soldi in Yoox di Federico Marchetti ha detto: “Se le startup in Italia non crescono è perché manca la cultura di un certo tipo di impresa”. E la parola, la definizione di un concetto, è il primo passo per averne una. Quando cominciamo? 

@arcangelorociola