Ci sono persone che sono proprio tagliate per l’attività che svolgono. Una di queste è Giovanni Malagò che, ultimamente, si nasconde dietro un filo di barba - ben curata, come si usa ai giorni nostri - quasi a simboleggiare le nuove, impegnative, sfide che sta cavalcando, alla grande, da presidente del Coni. L’organo, cioè, che coordina tutte le federazioni sportive italiane, un vero e proprio Ministero dello Sport, se la politica non ci avesse messo il cappello. Un ginepraio di mille e più legacci, una struttura che deve istituire un bando pubblico per qualsiasi iniziativa e deve accontentare centomila anime diverse. Compresi comitati, associazioni, consorzi, enti, circoli, sodalizi che non sfuggono mai alla burocrazia. La tiranna che ci opprime e crea un’enormità di impedimenti, rallentando qualsiasi operazione.
Bravo di suo, Malagò dispone di specialisti della macchina-Coni che lo supportano al meglio per dribblare i troppi tentacoli del non-fare, e può divincolarsi da altri problemini che l’assillano ancor più da vicino. Uno dei più spinosi era quello con l’antagonista interno, Paolo Barelli, potente presidente della Federnuoto e segretario della Federazione internazionale che, dopo minacce, ripicche e battaglie di tutti i tipi, due anni fa si è dimesso dalla Giunta del Coni. E, pur sventolando la bandiera di Federica Pellegrini, sa benissimo che la numero 1 dello sport italiano è amica da sempre di Malagò, peraltro da affiliata al circolo Aniene Roma. Di cui Giovanni era presidentissimo ed ora - le solite norme - è presidente onorario, con numero 1 Massimo Fabbricini, fratello del braccio destro di Malagò, il segretario del Coni, Roberto. Che poi è il dirigente più brillante del Palazzo H - dalla forma della sede Coni - , bravissimo da capo della preparazione olimpica, candidato alla presidenza di Coni Servizi e, intanto, fresco commissario imposto alla Federcalcio.
Bloccato dalle leggi e leggine di cui sopra, Malagò non aveva potuto intervenire sul primo sport italiano già all’indomani della vergognosa eliminazione dei Mondiali. Aveva tuonato contro il presidente Tavecchio, contro l’allenatore Ventura, contro il sistema-calcio, aveva minacciato il commissariamento in tempi brevi, brevissimi, praticamente subito. Ma era stato costretto a fare un passo indietro da statuti e regole. Sembrava proprio che avesse commesso un errore tattico. Sembrava si fosse spinto troppo oltre. Invece sapeva che le troppe anime diverse del calcio non avrebbero potuto trovare la quadra. E così è stato.
Come ulteriore segno di trionfo, si è anche nominato commissario della Lega Calcio. Quindi, da legittimo presidente di tutte le federazioni italiane, è volato all’Olimpiade invernale in Corea del Sud a rappresentare l’Italia. E, da orgoglioso trascinatore dei suoi “soldati”, ha scommesso su un medagliere azzurro in doppia cifra. Proprio la quota raggiunta, di cui i tre ori tutti delle donne. Un caposaldo della sua filosofia di vita e di sport.
Certo, proprio una donna, la sindaca di Roma, Virginia Raggi, ha inflitto a Malagò una dura sconfitta negando allo sport italiano l’appoggio alla candidatura della Capitale a sede dell’Olimpiade estiva. Ma, fra baciamani e sorrisi, mentre la signora Cinque Stelle, da allora, ha accusato più dispiaceri che gioie, Giovanni I dello Sport Italiano ha ottenuto dal Governo la possibilità di regnare fino al 2025. Ha annesso il calcio, che una volta era il potentissimo calcio che attraverso il Totocalcio sovvenzionava tutto lo sport italiano e oggi è stato escluso dalla Giunta Coni. Ed è tornato dalla Corea con le dieci medaglie olimpiche che solo lui vedeva con certezza. Audace e fortunato.
Diventare il primo italiano presidente del Cio, il comitato internazionale olimpico, è la sua massima aspirazione come dirigente sportivo. Ma prima desidera fortissimamente riportare la Nazionale sull’Olimpo del calcio mondiale. Partendo da un allenatore che dia lustro e credibilità all’ambiente dopo la disfatta con la Svezia: a lui piace moltissimo il romanissimo Claudio Ranieri, ma dopo la negativa esperienza di un selezionatore più avanti negli anni di Ventura, dovrebbe intraprendere altre strade verso gli Europei del 2020 e i successivi Mondiali. Rilanciare la Nazionale di calcio gli aprirebbe le porte persino della ribalta politica, magari da prossimo sindaco di Roma. Per diventare il paladino del ritorno delle Olimpiadi nella capitale, e riscattare lo sgarbo della Raggi.
Domani accadrà, ma oggi, subito, c’è la ristrutturazione del calcio, che poi s’identifica nel rilancio della Nazionale. Per ottenere la consacrazione che in Italia vale di più perché è la più rara: passare alla storia come l’uomo giusto al posto giusto.