La favola di Cecchinato
La favola di Ceck somiglia a quella di Guga Kuerten, oggi l’italiano che non ha paura sfida Djokovic guardando oltre i quarti di Parigi
Arrivò a Parigi da numero 66 del mondo, fresco del titolo al Challenger di Curitiba, appena 20enne, sparava qualsiasi colpo a mille, perché non temeva nessuno e non sapeva difendersi, si fece strada al Roland Garros 1997 tagliando teste di serie coronate come Thomas Muster, Evgeny Kafelnikov e Sergi Bruguera, ed alla fine alzò la coppa dei Moschettieri, spinto dalla folla giacobina di Francia e da un indimenticabile sorriso. Quel ragazzo si chiamava Guga Kuerten ed entrò nella storia come un uragano, a dispetto di qualsiasi calcolo e ragionamento a tavolino.
Quest’anno, la rivelazione è un altro ragazzo senza pedigree, Marco Cecchinato da Palermo, classificato appena un po’ più in là, al numero 72 del mondo, di anni ne ha 25, ma anche lui è appena sbocciato. In 48 giorni, ha vinto Budapest, anche lui aggrappato alle sventagliate di rovescio a una mano per tenere l’avversario lontano del campo, e quindi all’iniziativa continua per non essere attaccato, anche lui qui a Parigi ha superato ostacoli impensabili e molto più quotati come il numero 11 del mondo, Carreno Busta e il 9, David Goffin, e si appresta a sfidare, nei quarti, l’ex “cannibale” Novak Djokovic, forse in reale ripresa, forse no.
Anche lui, soprattutto, sta giocando meglio di tutti, sta conquistando il pubblico con l’attitudine di chi va a faccia aperto verso il suo destino e si merita l’aiuto della fortuna. Anche lui ha fatto passi da gigante in pochi mesi, fino a sorprendere anche il suo allenatore, il pittoresco Larri Passos nel caso del campione brasiliano di 21 anni fa, il serissimo Simone Vagnozzi nel caso dell’italiano che nessuno s’aspettava protagonista a Porte d’Auteuil.
Perché Marco, come Kuerten, ha avuto tanti incidenti di percorso, non infortuni, ma intoppi, col suo carattere fumantino, con la pretesa di giocare il miglior tennis in qualsiasi partita, con un atteggiamento dilettantesco che l’ha fatto incappare in una condanna per qualche partita truccata in accodo con un collega, svicolando solo per un vizio di procedura della procura federale Fit dalla condanna a 12 mesi. Marco, come Guga, è cresciuto sul mare, ma a 17 anni è emigrato a Caldaro, vicino Bolzano, alla scuola di Massimo Sartori per imitare Adreas Seppi.
Dopo tre anni ha seguito l’allenatore a Bordighera, nel gruppo allargato di mastro Riccardo Piatti e Cristian Brandi, prima di stabilizzarsi a Bologna con coach Vagnozzi. Un po’ per scelta un po’ per necessità. Perché il buon Sartori “per salvarlo”, credendo fortemente in quel ragazzo siciliano “che non ha mai paura, e perciò cerca soluzioni diverse”, lo ha affidato all’allievo più promettente, Vagnozzi, appunto, “allievo due volte, perché, quando lo allenavo da giocatore, mi dimostrava di capire di tennis più di tutti”.
Allievo che ha superato il maestro, “e alla grande, perché io a gennaio a Melbourne sognavo di portare Seppi ai quarti e non ci sono riuscito, mentre lui ha portato Ceck almeno ai quarti a Parigi”. Allievo che possiede un asso nella manica per convincere il ragazzo di Palermo che poteva smarrire il talento: “Anche lui da giovane ha fatto degli errori, che ha scontato, e ora sta instradando Marco perché non li commetta anche lui”. Mitigando molti atteggiamenti sbagliati dell’eroe italiano del Roland Garros 2018.
Di certo, Cecchinato, sta crescendo in modo impressionante: fino al torneo di Montecarlo, non aveva ancora vinto una partita in un torneo Masters 1000, fino a Budapest, non aveva mai superato due turni in una tappa Atp Tour - invece si è addirittura aggiudicato il titolo, e da lucky loser, dopo essere stato ripescato fra gli eliminati nelle qualificazioni -, fino a quest’edizione, non aveva superato un turno a Roma, fino a dieci giorni fa aveva giocato appena quattro partite negli Slam in tre anni, e le aveva tutte perse.
Figurati se, al Roland Garros, si sarebbe mai sognato di rimontare al primo turno il romeno Copil, da due set a zero sotto e poi da 4-5 al quinto set. Figurati se poteva mai pensare di abbattere due totem come Carreno Busta e poi Goffin, e diventare il nono italiano di sempre a qualificarsi per i quarti di finale di uno Slam, intascando in un colpo solo 380mila dollari ed entrando nei primi 50 del mondo, riprendo il discorso interrotto sette anni fa da Fabio Fognini (che in questi suoi 48 giorni da favola ha battuto a Monaco), e mai intrapreso dai predecessori Camporese, Gaudenzi e Seppi. Perché più incompleti di tecnica o di fisico, di servizio o di propensione offensiva rispetto al palermitano.
Con quello stesso sorriso luminoso e beato di un altro ragazzo venuto dal mare che diventò immortale nel tennis proprio a Parigi. “Ceck”, come lo chiamano tutti, si inchina al grande Djokovic “che non perdeva con nessuno”, ricorda di tutte le volte che ci è allenato insieme, all’Accademia di Piatti. E, davanti alla prospettiva di affrontarlo, ricorda: “Non mi ero accontentato nemmeno prima di affrontare Goffin”, e si concede una speranza. Promette che, quantomeno, ci proverà. Così come ha provato a sfondare il muro dell’Atp Tour che lo aveva ricacciato indietro tutte le volte che aveva tentato di salire dal mondo Challenger. Oggi, poi è forte non solo del suo coraggio ma anche di quelle sbracciate di rovescio a una mano cariche di effetto che Nole non ama perché lo allontanano pericolosamente dal campo e dal comando delle operazioni. Riuscirà il nostro eroe ad attuare la tattica che ha sconvolto quel computerino di Goffin, stancando le membra del belga già fortemente provate dalla maratona con Monfils del giorno prima? Riuscirà a sfilacciare la fiducia del serbo appena ricucita fra Roma e Parigi, inchiodandolo sulla, diagonale del rovescio per affondare subito col dritto nel campo mezzo sguarnito?