Camila Giorgi che sfida Serena Williams sul Centre Court di Wimbledon, chiedendo alla regina di 7 Championships di lasciarle il passo verso le prime semifinali del tennis italiano al femminile nel Tempio - dopo quattro bocciature ai quarti - ricorda moltissimo Roberta Vinci. Che, tre anni fa, aveva la strada sbarrata nelle semifinali degli Us Open proprio dalla stessa campionessa. Le due azzurre sono ugualmente piccole di statura e dai lineamenti delicati, hanno sorrisi e storie e stili di gioco diversi, ma nello stesso tempo vicini. La 27enne marchigiana di papà argentino ha un visino da attrice, con occhi tristi, qualche mistero non risolto, domande inevase e un abito da tennista di autentica attaccante da fondo, due volte veloce, un po’ naturale, di piedi e braccia, un po’ inculcato dal papà coach, Sergio, che le ha imposto sempre un estremo anticipo sulla palla.
Mentre la tarantina, allora 31enne, rappresentava la pura fantasia, l’unica italiana capace di autentico e sistematico servizio-volée, rovescio in back al bacio, tecnica sopraffina. Camila è come bloccata da qualcosa, forse è oppressa dal senso di responsabilità che ha dovuto accollarsi dopo la scomparsa della sorella maggiore in un incidente stradale, prendendone d’ufficio il ruolo nei sogni tennistici di famiglia, forse è soffocata dall’amore per il vulcanico papà, sicuramente ingombrante ma anche sinceramente innamorato, come tanti altri papà dello sport e soprattutto del tennis. Roberta non era pressata dai fantastici genitori, ma la sua ambizione non riusciva a raggiungere le vette sognate, vuoi per motivi fisici, vuoi per una cattiveria agonistica che coach Cinà e la compagna di doppio, Sara Errani, hanno contribuito a canalizzare nel modo giusto solo tardi.
Camila si sta liberando forse solo ora, come confessa lei stessa: “La serenità che sto vivendo nella vita di tutti i giorni si sta traducendo in quella sul campo”. E usa proprio il termine sereno, inconsciamente o freudianamente, alla vigilia della sfida con la stessa Serena Williams che tre anni fa bloccava inesorabilmente la strada di Roberta Vinci. E invece, clamorosamente, la liberò addirittura tre volte: nel gioco, lasciandole sciorinare, proprio all’ultima chiamata della carriera, il suo incredibile bagaglio tecnico, fatto di cambi di ritmo e smorzate, nell’anima, quando chiamò a gran gesti l’applauso del gigantesco pubblico dell’Arthur Ashe Stadium, e nel risultato, perché diede una lezione di tennis alla potente americana qualificandosi alla prima, storica, indimenticabile, finale tutta italiana. Camila affronta una situazione molto simile, arrivando anche lei in ritardo sulle aspettative, in una partita così importante in un torneo così importante, peraltro all’esordio nel Tempio, il Centre Court, sognato da qualsiasi atleta. Toccando i suoi primi quarti dello Slam.
Roberta Vinci aveva imparato a gestire la paura, era conscia di possedere le armi e l’esperienza giuste, ma certo confidava in una giornata non eccelsa dell’avversaria. Che, favoritissima, mai e poi mai avrebbe voluto perdere nello Slam di casa, così come oggi, da neo mamma, mai e poi mai vorrebbe farsi sfuggire l’occasione di stoppare nella corsa i 24 Major-record di Margaret Smith Court. Camila Giorgi sta imparando a conoscersi, è venuta a patti con il suo io più profondo, e azzarda verità che stridono con quella sua delicatezza d’aspetto: “Non seguo Serena perché non seguo il tennis. Non dico che non ho mai guardato i suoi match, dico che non la seguo, perché quando non gioco non seguo il tennis. È il mio lavoro, ma fuori dal campo, faccio tutt’altre cose”.
Sempre con quel vocino dai toni bassi, con quel fascino dai lineamenti di porcellana, con quei vestitini di pizzo anche un po’ sexy ricamati da mamma Claudia, con quella potenza che sciorina picchiando la palla da fondo con una veemenza e una efficacia da “top ten”. Bella, ma misteriosa, affascinante nei suoi segreti e nei suoi pensieri, debole e forte insieme, come dicono i tanti troppi doppi falli al servizio, quand’è sola con se stessa e può bloccarsi oppure servire botte tremende, anche a 190 chilometri all’ora.
Chissà, magari oggi Camila e noi tutti scopriremo di più del fenomeno tennistico Giorgi. Noi l’abbiamo scoperta in anteprima, in Italia, quand’aveva 14 anni, alla prima scuola di Patrick Mouraglou alla periferia di Parigi - oggi allenatore proprio di Serena - e abbiamo scritto che mai avevamo visto un tennista italiano, in assoluto, che colpisse la palla così forte sia di rovescio che di dritto, che fosse sempre così offensiva, e che andasse così spesso a rete. E ogni volta che incrociamo il coach francese lui, da gran cacciatore di talenti, ci chiede, scherzando: “E Camila?”. E’ fra i tanti che hanno cercato - invano - di gestirla insieme a papà Sergio, nel peregrinaggio suo e di tutta la famiglia dall’Italia alla Francia, dalla Spagna agli Stati Uniti e ritorno. Con frattura e squalifica per la diserzione della nazionale e poi pace con la Federazione italiana tennis, con l’aiuto fattivo del capitano di Fed Cup, Tathiana Garbin, presente a Wimbledon a colmare l’assenza di papà. Che in tribuna non si è visto, “ma è qui, ve l’assicuro”, garantisce Camila. Altro mistero!