Sono stati presentati alla stampa i 12 nuovi candidati astronauti (Ascan nel linguaggio della NASA) che inizieranno il corso di formazione che li trasformerà in autentici professionisti dello spazio. E’ il cosiddetto “basic training”, un ciclo di formazione di almeno due anni che, oltre alle lezioni teoriche di tipo universitario, prevede attività che non si trovano in nessun curriculum accademico: corsi di sopravvivenza, immersioni subacquee, voli su aerei da addestramento e sessioni nei più sofisticati simulatori di veicoli spaziali.
Ricordo benissimo quando ho iniziato quello stesso corso, allora eravamo 44 Ascan, di cui ben 9 internazionali, appartenenti ad altre agenzie spaziali. Era il Gruppo XVI, subito ribattezzato “Sardines”, perché era la più numerosa classe di astronauti dalla storia della NASA. In quel momento c’erano in previsione numerose missioni dello Space Shuttle e, soprattutto, stava per iniziare la costruzione in orbita della Stazione Spaziale Internazionale (ISS).
In oltre due decenni, la situazione è profondamente mutata: le navette americane sono diventate oggetti da museo e la ISS è entrata nella fase finale della sua vita operativa. Le nuove leve sono state dell’ordine di qualche unità e il corpo astronauti della NASA è andato riducendosi, fino al punto di contare poco più di quaranta astronauti. Una situazione plasticamente rappresentata dal fatto che, negli ultimi anni, gli astronauti americani devono noleggiare un sedile sulla Soyuz russa.
La nuova impennata nel numero di astronauti appena selezionati, perciò, è il segnale che la NASA si sta preparando ad una nuova fase di espansione. Anche il background dei nuovi astronauti fa presagire che saranno chiamati ad affrontare nuove sfide sia intorno alla Terra che, e questa è la novità più importante, nello spazio profondo oltre l’orbita terrestre.
I nuovi candidati, infatti, includono militari con un master in campo aerospaziale, tre scienziati, due medici, un ingegnere della SpaceX e un pilota collaudatore della NASA. Quando avranno completato il loro addestramento di base, potranno effettuare missioni a bordo della ISS, come i loro colleghi più anziani, ma in più sperimenteranno i nuovi veicoli spaziali costruiti dai privati: la CST-100 Starliner della Boeing e la Dragon della SpaceX, capsule sviluppate per traghettare gli astronauti americani verso la Stazione Spaziale e per chiudere definitivamente la dipendenza dai veicoli russi.
Ma la prospettiva più eccitante è senz’altro quella di collaudare la capsula Orion, il nuovo veicolo della NASA che, grazie al moderno vettore Space Launch System, sarà in grado di lasciare l’orbita terrestre per raggiungere lo spazio profondo. Agli inizi del prossimo decennio, questa nuova generazione di astronauti potrebbe avventurarsi intorno alla Luna e riprendere così la strada aperta con le missioni Apollo, oltre 50 anni fa. La Luna sarà solo la prima fase di un programma che punta dritto alla meta più ambita: Marte.
Sarà una sfida del tutto nuova, con missioni di oltre due anni e molti mesi passati in ambienti angusti e artificiali, senza la vista rassicurante della Terra, immersi nel buio perenne dello spazio e con un sole sempre più lontano. Tagliati fuori dal resto dell’umanità, potranno contare solamente sulle risorse del veicolo su cui stanno viaggiando e sugli elementi che riusciranno a trovare sul pianeta rosso. Per questo ci sarà bisogno di equipaggi con competenze interdisciplinari, in cui ciascun membro dovrà avere conoscenze in diversi campi per poter fronteggiare ogni tipo di evenienza, sia durante la navigazione che una volta arrivati sulla superficie del pianeta.
Sarà qualcuno tra questi dodici a lasciare la prima impronta sulla superficie di Marte? Difficile dirlo, ma i profili sembrano quelli giusti per un altro “piccolo passo”, dopo quello di Neil Armstrong, per avvicinare l’umanità al “grande balzo” verso le stelle.