La Festa del cinema di Roma chiude con il film italiano più atteso, ‘The Place’ di Paolo Genovese con un cast italiano di primo piano: Valerio Mastandrea, Marco Giallini, Alessandro Borghi, Alba Rohrwacher, Vittoria Puccini, Silvio Muccino, Vinicio Marchioni, Giulia Lazzarini, Rocco Papaleo, Sabrina Ferilli e Silvia D’Amico. Adattamento della serie tv Usa ‘The Booth At The End’, il film ha una sola scena: un tavolino di un bar dove un uomo si trova a ricevere clienti e ogni tanto parla con una cameriera.
Cosa succede in ‘The Place’? Otto persone, sconosciute tra loro, stringono un patto con un misterioso uomo (Dio? Il Diavolo? La Coscienza’) che sembra passare le sue giornate seduto sempre allo stesso tavolino di un bar. È una persona particolare, capace di esaudire i desideri degli otto sconosciuti, ma in cambio loro dovranno svolgere un compito che gli verrà assegnato. Ed è questo il punto centrale del film, attorno al quale Genovese ha costruito questo film molto particolare e coraggioso: cosa si è disposti a fare pur di ottenere qualcosa a cui teniamo in maniera assoluta? Anche a compiere gesti riprovevoli o terribili? E così una donna anziana deve costruire una bomba e uccidere molte persone per far guarire il marito dall’Alzheimer; un padre deve uccidere una bambina per salvare il figlio dal tumore; un cieco deve violentare una donna per ottenere di nuovo la vista; una suora deve rimanere incinta per ritrovare Dio; un poliziotto deve pestare un uomo per recuperare la refurtiva.
Presentato oggi alla stampa e stasera come film di chiusura della Festa del cinema di Roma 2017, ‘The Place’ potenzialmente poteva rappresentare la chiusura alla grande di una kermesse piuttosto modesta. E, invece, in tono con tutta la manifestazione, si rivela una delusione profonda. Fare un film ‘tutto parlato’ dove una struttura tipicamente teatrale con una scena unica viene trasposta al cinema necessita almeno di due elementi ineludibii: un testo di altissima qualità e attori di grande spessore.
Purtroppo ‘The Place’ manca proprio in questo: dialoghi, temi trattati, testi e sottotesti (se ce ne sono) lasciano a desiderare. Non siamo di fronte a un ‘Carnage’ di Polanski, anche perché i dialoghi sono a una dimensione, privi di pathos e piuttosto banali nel raccontare una realtà poco interessante. Non ne esce né uno spaccato sociale, né un interrogativo filosofico. Girato bene da uno dei migliori registi italiani, grande autore di commedie (‘Perfetti sconosciuti’ è una pellicola di altissimo livello) e ottimo direttore di attori, ‘The Place’ manca però di anima e contenuti. E lo stesso cast questa volta resta al palo: poco credibile Mastandrea in un ruolo che richiedeva ambiguità e forse occhi un po’ più diabolici. Piuttosto deludenti anche gli altri interpreti, che appaiono raramente intensi al punto giusto. La pellicola arriverà nelle sale italiane il 9 novembre.
La delusione dei fratelli Taviani
Prima di ‘The Place’ l’altro film italiano, molto atteso, quello dei fratelli Taviani, 'Una questione privata', con Luca Marinelli tratto dall'omonimo libro di Beppe Fenoglio aveva profondamente deluso. Diretto dal solo Paolo Taviani (Vittorio non ha potuto partecipare alla regia a causa di un incidente d'auto che non gli ha permesso di essere sul set), vuole raccontare "l'impazzimento d'amore e di gelosia, di Milton, il protagonista, che sa solo a metà e vuol sapere tutto. Da qui siamo partiti - scrivono i Taviani nelle note di regia - per evocare, in una lunga corsa ossessiva, un dramma tutto personale, priva appunto: un dramma d'amore innocente e pur colpevole, perché nei giorni atroci della guerra civile il destino di ciascuno deve confondersi con il destino di tutti". 'Una questione privata è in sala dal 1 novembre distribuito da 01 Distribution.
A guidare le mosse di Milton del ragazzo non è tanto il senso di amicizia per Giulio, quanto il desiderio di chiarire una situazione sentimentale: cosa c'è stato tra l'amico e Fulvia (Valentina Belle'), la ragazza di cui è innamorato follemente, forse ricambiato (lei ama soprattutto le sue lettere appassionate). Milton va a caccia di un fascista da catturare e scambiare con l'amico prigioniero dei tedeschi, in un paesaggio che vuole evocare le Langhe (in realtà è la vicina Val Maira) dove regnano nebbia e pioggia e dove gruppi di partigiani e di fascisti si fronteggiano senza incontrarsi mai. Una 'caccia' dettata da una motivazione passionale che metterà a repentaglio la sua stessa vita. Il film, presentato alla stampa questa mattina, ha profondamente deluso per l'assenza di ritmo e per una costruzione narrativa non felice. Lo stesso Marinelli, che oggi è forse l'attore italiano più bravo e intenso, fornisce una prova piatta e senza molto spessore.
Il ‘gioiello’ NYsferatu
Unica nota lieta dall’Italia – in senso lato – giunge dal gioiellino di Andrea Mastrovito, ‘NYsferatu’. Si tratta dell'originale e emozionante opera dell'artista lombardo ormai newyorkese d'adozione, dopo aver esposto in tutto il mondo (con personali e installazioni permanenti), esordisce al lungometraggio con un riadattamento animato del capolavoro di Friedrich Wilhelm Murnau, 'Nosferatu', del 1922.
In 'NYsferatu', infatti, il vampiro, il conte Orlok (alias Dracula), viene catapultato nella New York di oggi, ridisegnata a mano, frame per frame (35mila disegni), dall'autore e dai suoi 12 assistenti con il metodo rotoscopico (tecnica d'animazione in cui il disegnatore ricalca i fotogrammi di scene reali girate con una telecamera, ottenendo come risultato un movimento fluido e al contempo vibrante) durante tre anni di lavorazione. Mentre i personaggi ricalcano movimenti, espressioni, gesti e costumi del film originale, tutto intorno a loro viene sostituito e trasportato nell'America contemporanea, in un incastrarsi di sfondi, nuove scene, e didascalie (il film è muto) in cui New York appare di volta in volta come vittima e carnefice, e in cui la figura folkloristica del vampiro si adatta a molteplici letture metaforiche.
Se da un lato l'ombra del conte Orlok che si allunga per le strade di Manhattan richiama immediatamente la minaccia terroristica che questa città conosce fin troppo bene, dall'altro il vampiro stesso che si aggira sperduto coi suoi unici averi (la sua bara) per la notturna città desolata, cercando una casa e trovando poi il posto adatto per lui solo a Ellis Island, rappresenta una chiara metafora dell'immigrazione e della fuga per la speranza di una vita migliore. Il conte Dracula di Mastrovito viene dalla Siria (anche se geograficamente posta al confine con New York).
"Ho pensato a un coacervo di popoli e di religioni che si scontrano tra loro - racconta l'artista -. Quando Bram Stoker scrisse 'Dracula', pensò di farlo nascere in Transilvania per questo motivo. Oggi mi sembra più adatto farlo venire dalla Siria". 'NYsferatu’ è stato presentato venerdì sera alla Festa di Roma con musica dal vivo eseguita al piano dall'autore, Simone Giuliani, affiancato da una cantante siriana. Stesso format con cui girerà gallerie d'arte e teatri e col quale è già stato presentato in diversi parchi di New York, "con musicisti che hanno accompagnato con le loro musiche le proiezioni", spiega la produttrice Micaela Martegani di More Art (organizzazione No Profit con base a New York fondata nel 2004 che debutta nel cinema).
I temi trattati da 'NYsferatu' sono attualissimi e l'idea di inserire il film di Murnau in uno scenario e in un contesto storico moderno è di grande impatto emotivo. "La scelta di New York - spiega Mastrovito - non è casuale: è la città delle contraddizioni, dove puoi vedere al centro uomini sul calesse con abiti degli anni '20. Inoltre - aggiunge - in questa metropoli tutto ciò che è diverso, chi viene da un altro Paese, ha enormi difficoltà ad adattarsi perché è una città che chiede tantissimo. E quindi il conte Orlok, che arriva a New York con una bara, viene visto come una minaccia ed è un simbolo, così come lo è il fatto che ciò che fa paura non è il vampiro, ma la sua ombra. Ed è lecito chiederci: chi proietta quell'ombra?".