Quando Paolo Villaggio disse: "vorrei avere il coraggio di morire come Monicelli"

Quando Paolo Villaggio disse: "vorrei avere il coraggio di morire come Monicelli"
Foto: Maria Laura Antonelli / AGF  
  Paolo Villaggio

"Invidio a Mario il coraggio di compiere questo gesto estremo. Io non ce l’avrò mai…”. Era il 30 novembre 2010 quando un Paolo Villaggio, confuso, addolorato per la morte dell’amico Monicelli e già da tempo sofferente nello spirito e nel cuore parlava così nel cuore di Rione Monti per l’ultimo saluto laico al regista morto suicida. Lo stesso che lo aveva lanciato nel cinema nel 1970 in ‘Brancaleone alle crociate’.  

Non era una delle sue proverbiali battute, ma una amara considerazione fatta da un uomo che sentiva la vita andarsene e con essa a quello spirito che lo aveva reso uno degli attori comici più amati e popolari d’Italia. Il ‘comicattivo’ per eccellenza, capace di far ridere con cattiveria, quasi divertendosi a fare del male intellettualmente e fisicamente ai suoi personaggi.

Fuori di fatto dalle scene cinematografiche dal 2009 (a parte una comparsata muta e un po’ deprimente nel 2012 in ‘Tutto tutto niente niente’ di Manfredonia con Albanese), Villaggio negli ultimi anni si è dedicato a scrivere libri col suo stile graffiante e con quella arguzia che il declino fisico non gli aveva portato via. Ha finito la sua vita artistica come l’aveva iniziata, con la letteratura.

E’ stato proprio il libro ‘Fantozzi’ pubblicato nel 1971 da Rizzoli, infatti, a dare il via alla carriera di questo genovese intelligentissimo (con un fratello gemello professore alla Normale di Pisa e un amico del cuore di nome Fabrizio De Andrè): circa un milione e mezzo di copie vendute che per il periodo era un record.

Poi ci fu il seguito, 'Il secondo tragico Fantozzi' (“lo volli intitolare così perché era triste e le donne non lo amavano”, spiegò una volta) che vendette oltre 700mila copie. Poi venne Maurizio Costanzo e, nel 1975, il film di Luciano Salce che fu un trionfo: grande successo di pubblico e oltre 10 miliardi di lire di incasso. Il film darà il via a un fenomeno di costume e culturale senza precedenti in Italia. Un personaggio che in breve divenne il simbolo di un’epoca e un icona (perdente) di una società e di un periodo storico.

Nel 2015, alla Festa del cinema di Roma, in occasione dei 40 anni dall’uscita del film, Villaggio spiegò così il successo: "Fantozzi siamo tutti noi. Manda un messaggio rassicurante: non abbiate paura, non siete soli ad avere questa incapacità di essere felici. In quest'Italia di merda siamo tutti Fantozzi".

L'incapacità di essere felice

Un’incapacità di essere felici che era un marchio di fabbrica e una caratteristica dell’uomo. E anche la sua forza perché gli dava la spinta per guardare il mondo e raccontarlo con cattiveria, facendo però virare la narrazione al comico.

Sempre alla Festa di Roma raccontò l’episodio chiave della sua vita, quello che rappresentò la svolta e gli aprì le porte del grande mondo dello spettacolo. "Fantozzi è nato in un cabaret artigianale di Genova dove mi esibivo insieme al mio amico Fabrizio De Andrè – ha ricordato Villaggio -. Un giorno venne a vederci un giornalista bruttissimo, che scriveva per 'Grazia' e si chiamava Maurizio Costanzo. Ci disse di andare a Roma dove ci avrebbe fatto diventare famosi. Faber era un vigliacco e non volle andare, mentre io seguii il consiglio di mia moglie, che mi disse: scegli sempre l'incerto per il certo". 

Eravamo io, Ennio Flaiano, Vittorio Gassman

La prima esibizione, raccontò ancora Villaggio, fu durante una serata organizzata da Costanzo alla presenza di personalità quali Ennio Flaiano, Marco Ferreri, Vittorio Gassman, Enrico Maria Salerno e Ugo Tognazzi. "Dopo tre giorni mi chiamò il direttore dello Spettacolo televisivo della Rai che mi offrì di lavorare a Milano a 'Quelli della domenica' con Renato Pozzetto”. E lì iniziò il successo di Fantozzi.

Dal Pci a M5S

Con Paolo Villaggio se ne va un artista, un giullare, un intellettuale anomalo. Un uomo capace di fotografare la realtà come pochi altri hanno fatto, lanciando un messaggio politico fortissimo. Comunista convinto (anche se negli ultimi anni si dichiarò vicino al MoVimento 5 stelle), Villaggio denunciò lo status dell’impiegato statale. E con esso il malcostume dilagante ed evidente della nostra società. Ma anche l’accettazione di questo stato, la capacità (o necessità) di adeguarsi al sistema e di accettare le umiliazioni più grandi pur di avere un minimo benessere.

Tutto questo è Fantozzi, un ragioniere il cui unico – e fallimentare – momento di ribellione è diventato proverbiale con una battuta che ha reso popolare uno dei film più importanti della storia del cinema: “Per me… ‘La corazzata Potemkin’… è una cagata pazzesca!”.

Villaggio se ne va, dopo un lungo periodo di sofferenza, forse dettata anche dalla constatazione che l’Italia che ha tanto criticato con i suoi film non è cambiata in 40 anni. “L'italiano medio, quando parla del suo Paese, dice che sono tutti ladri. In realtà non è vero disprezzo – ha raccontato ancora alla Festa del cinema di Roma - gli italiani vorrebbero essere tutti ladri, ma non hanno avuto il coraggio di rubare. Il sogno di molti è di fare una rapina in banca". E gli intellettuali? “Oggi gli intellettuali, quelli che leggono gli editoriali sui grandi giornali, che parlano di cose saccenti, lo fanno per dieci minuti, ma si capisce che non gliene importa nulla. Poi arriva uno che dice: hai visto ieri Totti? Basta… è finita la serata: si parla solo di Totti”.

E quindi l’amara constatazione: nulla è cambiato dal primo (tragico) Fantozzi: “Gli argomenti preferiti degli italiani sono calcio, accoltellamenti e donne”.

L'ateo che diceva: "Al paradiso non ci crede nemmeno il Papa"

Paolo Villaggio muore da ateo, come era vissuto, e di lui tra le altre cose rimane un discorso, provocatorio e ‘comicattivo’ sulla morte, sull’aldilà e sulla Chiesa. “Io ho un sospetto, quasi una certezza: questo Papa argentino che è così furbo e così abile, che ha semplificato il linguaggio e che è così amato, sinceramente mi sembra che abbia paura della morte. Questo Papa, come tutti i papi – ha detto Villaggio nell’incontro romano del 2015 - sa che non esiste l'aldilà promesso dei cattolici. E poi, pensandoci, il paradiso cattolico che cos'è? Nel Corano è spiegato esattamente com'è quello islamico: pieno di fiori, di frutta, di dolci e di donne. E' un paradiso molto convincente. Ma quello cattolico è vago. Io non ci credo e neppure il Papa. Purtroppo”.