Parte da Cannes la nuova sfida di Marco Bellocchio, raccontare la storia di Tommaso Buscetta, un uomo, un mafioso, che ha deciso di tradire l'organizzazione criminale nella quale è affiliato dall'età di 16 anni perché ritiene di essere stato tradito. Un 'uomo d'onore', nel senso antico del termine, che ritiene che la mafia debba avere dei valori. Il 'boss dei due mondi' o, soprattutto, quel 'boss è solo' di cui scrisse Enzo Biagi. Tre anni dopo il regista piacentino torna così sulla Croisette, in concorso, con 'Il traditore', dove affida al camaleontico e bravissimo Pierfrancesco Favino il ruolo del pentito che ha rivelato a Giovanni Falcone i segreti intimi di Cosa nostra e ha consentito a condannare centinaia di criminali e smantellare il sistema mafioso.
Le difficoltà di Bellocchio
Ciò che ha affascinato Bellocchio di Buscetta è la sua storia, il suo attaccamento alla famiglia, a quelli che riteneva 'valori sani' della mafia traditi dai corleonesi e da Totò Riina che ha iniziato una mattanza che ha decimato anche la famiglia di Buscetta (ha perso due figli per la cosiddetta 'lupara bianca', un fratello, un cognato, un nipote e il genero). Per questo ha raccontato, in un excursus che va dalla latitanza in Brasile degli anni '70 fino alla sua morte (nel suo letto, come voleva lui) del 2 aprile 2000 negli Stati Uniti, passando per il maxi-processo, la strage di capaci e il processo-Andreotti. E lo ha fatto, come spiega lo stesso Bellocchio nelle sue note di regia, affrontando il problema di raccontare decenni di vita, "di condensare i fatti, le azioni determinanti nel tempo di un film, procedendo per salti". Questa difficoltà, che il regista spiega di aver affrontato in sceneggiatura (scritta insieme a Ludovica Rampoldi, Valia Santella e Francesco Piccolo), a suo giudizio viene superata in fase di regia e di montaggio.
"Penso a riprese 'frontali', estremamente sintetiche, concentrate, evitando movimenti di macchina di tipo descrittivo - spiega Bellocchio - privilegiando immagini fisse, in cui i personaggi entrano ed escono dal campo con sottolineature sull'asse, evitando, dove possibile, l'oggettività del controcampo". C'è poi uno studio della fotografia che come sempre è particolarmente curata. "Lavorando sul contrasto (il controluce) e sui colori caravaggeschi della Sicilia - spiega ancora il regista - partendo dal fotogramma nero, un po' come faceva Caravaggio che preparava la tela nell'oscurità dello studio".
Accoglienza positiva a Cannes
'Il traditore' è stato accolto da tanti applausi alla sua prima di ieri sera a Cannes. Soprattutto per Favino e per il cast diretto come sempre con maestria da Bellocchio: da Luigi Lo Cascio-Totuccio Contorno a Fausto Russo Alesi-Giovanni Falcone, da Maria Fernanda Candido-Cristina, moglie di Buscetta a Fabrizio Ferracane-Pippo Calò, da Nicola Calì-Totò Riina a Alberto Storti-avvocato Coppi, difensore di Andreotti. Resta ora da vedere se questa storia molto italiana possa piacere anche alla giuria internazionale. Di sicuro il pubblico di casa nostra, che da ieri può andarlo a vedere al cinema in 350 sale, non si troverà di fronte a un film di mafia come gli altri. Lo stesso regista ha spiegato più volte di non aver voluto prendere a modello film tipo 'Il padrino' perché il suo scopo era di raccontare la solitudine del boss, le sue forti motivazioni che lo hanno portato a 'tradire i traditori'. In effetti la violenza nel film di Bellocchio c'è ed è esplicita, ma appare quasi da contorno, quasi espediente narrativo e descrittivo di un mondo che si rivela e, al contempo, scandisce il passare degli anni. Si vedono alcuni omicidi eccellenti di mafia e la strage di Capaci, ma sono solo piccoli frammenti di un racconto incentrato su Buscetta, sulla sua presa di coscienza della solitudine sempre più profonda e inevitabile. Il volto di Favino segna il passare del tempo e si incupisce sempre più, poi sembra trasformarsi (come è accaduto davvero a Buscetta che si è sottoposto a un intervento chirurgico di plastica facciale costato 20 milioni di lire) e assume una nuova serenità. Non scalfita neppure - sembra - dal processo Andreotti quando l'avvocato Coppi lo fa cadere in contraddizione e smonta le sue accuse contro il leader democristiano.
Una sfida vinta a metà
Quella di Bellocchio con 'Il traditore' è l'ennesima sfida dell'80enne regista piacentino, Una sfida vinta, però, solo in parte. Interessante il modo con cui viene raccontato il boss dei due mondi, anche se alcune soluzioni sembrano troppo 'televisive' e manca in alcuni personaggi quella profondità che ci si aspetta in un film di Bellocchio. A partire da Giovanni Falcone, il cui spessore sembra interessare poco al regista che ne traccia un contorno un po' cupo, molto algido. Deludenti, in questo senso, i dialoghi con Buscetta dove si resta sempre in superficie e non riesce a stabilirsi quell'empatia che probabilmente Bellocchio voleva far trasparire. In conferenza stampa il regista ha detto di aver fatto questo film senza pensare di "volere e non voler fare film già fatti". Ha cercato come sempre una via espressiva originale ma il suo cammino si è fermato forse a metà strada.