Troppo computer a scuola fa male alla lettura

Non solo: chi usa il web per fare i compitio a casa non rende meglio di chi non lo fa

Troppo computer a scuola fa male alla lettura

Negli ultimi dieci anni non c’è stato, in media, alcun miglioramento di rilievo nei risultati in lettura, matematica e scienze degli studenti quindicenni nei paesi industrializzati, in particolare dove sono state investite le risorse più consistenti in tecnologie per l’educazione. Nella maggior parte dei Paesi dove gli studenti hanno usato a scuola il computer “moderatamente” si sono registrati risultati migliori non solo di dove lo hanno usato "raramente" quando gli studenti lo hanno impiegato più frequentemente, hanno fatto peggio, anche tenuto conto dello status socio-economico. Secondo il rapporto dell'Ocse "Students computers and learning. Making the connection 2015", i paesi, tra i 31 partecipanti, che hanno ottenuto i risultati più apprezzabili nella valutazione delle capacità di lettura in digitale sono stati Singapore, Corea del Sud, Hong Kong, Canada e Cina. Gli studenti di Australia, Canada, Irlanda, Corea del Sud e Singapore sono stati invece quelli che hanno dimostrato le abilità di ricerca su Internet più avanzate.

Chi usa il web per i compiti a casa non rende meglio di chi non lo fa

È interessante approfondire e comprendere quali siano gli indicatori presi in considerazione per definire più o meno “avanzate” le capacità di lettura prese in esame durante la rilevazione, che chiedeva la risposta a domande stimolo precise. In sostanza, si considera un lettore digitale esperto colui che seleziona accuratamente i link da seguire prima di cliccare e segue i link rilevanti per quanto necessario allo scopo di rispondere alla domanda posta.

Per usare e comprendere le risorse in rete, gli allievi necessiterebbero quindi di capacità specifiche, oltre a quelle che si impiegano normalmente nella lettura su supporto cartaceo. Nel caso degli studenti italiani, si registra che chi ha dichiarato di usare la rete per i compiti a casa non ottiene risultati migliori nei test di lettura digitale rispetto a chi non lo fa mai, a dimostrazione che usare la rete senza una guida adeguata non facilita le capacità di pianificazione ed esecuzione della ricerca e non contribuisce a valutare l’utilità dell’informazione e la credibilità delle fonti.

Come leggiamo?

Occorre allora riflettere sulle tipologie di lettura e sulle implicazioni che le stesse comportano, allorché svolgiamo compiti di lettura, ma su supporti diversi e per scopi differenti.

Mary Dyson e Mark Haselgrove, studiosi dell’Università di Reading (UK), già nel 2001, hanno investigato come sia la velocità di lettura, sia i modelli di scorrimento impiegati da soggetti impegnati nella lettura su schermo influiscano sulla loro capacità di rispondere a domande di comprensione del testo. Quelli che hanno avuto risultati migliori sono stati i soggetti che hanno letto anche brani statici, a intervalli, fermandosi dopo aver letto un brano, prima di passare al successivo. Leggere “scorrendo” dunque si è dimostrato meno efficace per la comprensione.

Leggi anche: il valore della scrittura liquida che usaimo sui social


Come sostiene Baron, occorre fare una distinzione tra lettura profonda, che implica ragionamento inferenziale e deduttivo e, abilità analogiche, analisi critica, riflessione, approfondimento e la cosiddetta hyper-reading, indiretta, sullo schermo, assistita dal computer che implica attività di ricerca, di scrematura ed estrazione delle informazioni da testi più ampi, su più livelli e strutturata in base a collegamenti esterni (hyper-links). 

Perché la iper-lettura deve preoccuparci

Perché dobbiamo preoccuparci se la iper–lettura, hyper reading, prende il sopravvento e si perde, invece, quella continuativa o attenta (continous o close reading)? Susan Greenfield, studiosa di farmacologia ad Oxford, autrice di un libro di grande impatto dal titolo emblematico "Mind change: how digital technologies are leaving their mark on our brains (2015)", evidenzia come la cultura dello schermo stia limitando le nostre capacità di concentrazione, rendendoci sempre più dipendenti dal significato letterale dei testi e riducendo l’opportunità di confronto con il contenuto astratto di quanto leggiamo. Il rischio è limitare le nostre capacità di pensiero critico: non un problema da poco nel tempo che viviamo.