Avrebbe un senso privatizzare alcune Università italiane d'eccellenza?

Rischio impennata delle rette, ma anche più autonomia sugli stipendi e sulla ricerca

Avrebbe un senso privatizzare alcune Università italiane d'eccellenza?

É una domanda provocatoria, lo ammetto, ma credo che varrebbe la pena pensare seriamente a questo scenario. Premetto che non ho un punto di vista a favore o contro, ma penso semplicemente che sia necessario riflettere sull’argomento.

Vent'anni fa in Italia non si sentiva parlare molto di finanziamenti europei o internazionali per la ricerca universitaria italiana, che, per la maggior parte, era sponsorizzata dal Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR). Il ridursi progressivo di questi fondi rispetto all'economia italiana e all'inflazione ha portato molti gruppi di ricerca a cercare fondi europei ed esteri, e, al tempo stesso, a sviluppare programmi molto più aggressivi per il lancio di startups e spinoffs universitarie.

Politecnico, 30% governo 70% industria

Per fare un esempio concreto, oggi solo circa il 30% del bilancio del Politecnico di Torino, l'università in cui mi sono laureato nel 1998, proviene dal governo italiano. Il rimanente 70% proviene dall'industria, da fonti esterne all'Italia, come l'Europa, dall'incubazione/commercializzazione di idee e brevetti, oppure da altre strategie di valorizzazione industriale della ricerca. Alcuni potrebbero obiettare che i fondi europei debbano considerarsi mente come fondi di ricerca italiani dati in gestione ad enti europei. Tuttavia i comitati europei per il finanziamento della ricerca assegnano i contratti alle migliori proposte di progetto indipendentemente dalla nazionalità dei capi progetto e all'atto pratico i fondi europei vanno secondo me considerati come esterni all'Italia.

Privatizzazione non così assurda

A questo punto mi chiedo: e se il Politecnico di Torino e altre università italiane d'eccellenza diventassero private? Non sono economicamente molto lontane dal farlo, e in generale, una maggiore flessibilità nella gestione potrebbe ridurre consistentemente le spese di amministrazione.

Questo, almeno per me, è uno scenario interessante e che forse non appartiene a un futuro molto lontano: è probabile che analisi di massima sulla fattibilità siano già state effettuate da alcuni atenei. Ad ogni modo, non si fa mai male a pensare alle possibilità che il futuro riserva. È lì che si trovano importanti opportunità.

Regole più semplificate

Attualmente, le università devono conformarsi con una serie di regole imposte dall'amministrazione statale, che verrebbero assai semplificate nel caso di una amministrazione privata. Questo molto probabilmente agevolerebbe una riduzione dei costi amministrativi. Non mi riferisco solamente al numero di persone impiegate in amministrazione, ma anche a costi e procedure connessi a lavori di modernizzazione delle infrastrutture universitarie. Per esempio, i costi di ammodernamento delle aule di lezione nelle attuali università italiane risentono negativamente di una serie di complesse procedure vigenti sulla gestione degli appalti. Nel settore privato queste procedure sono molto più snelle. Questo è solo un esempio. L'intera infrastruttura universitaria Italiana (inclusi i laboratori degli specifici gruppi di ricerca) deve affrontare questa situazione.

Effetti sulle rette

D'altro canto la privatizzazione porterebbe immediatamente a considerare la possibilità di imporre rette universitarie più onerose per gli studenti, secondo un modello americano o britannico. Questo limiterebbe la democratizzazione dell'istruzione che rende l'Italia uno dei grandi esempi nel mondo. In una tipica università americana di ricerca, i fondi di ricerca costituiscono almeno il 50% del bilancio dell'Università. Il Politecnico di Torino e altre università sono allineate con questa situazione.  Il resto viene ottenuto dalle rette degli studenti di laurea e laurea magistrale (master).

Le eccellenze italiane

Tornando al caso del Politecnico di Torino, il livello di formazione degli ingegneri è eccezionale a mio modo di vedere. Io mi sentivo perfettamente a mio agio frequentando i corsi di dottorato all’ Università di Stanford con la formazione del Poli, la quale era allo stesso livello della formazione dei miei colleghi provenienti dall'MIT, da Caltech. ecc. Altre scuole italiane d'eccellenza offrono un livello di formazione comparabile a quello del Politecnico di Torino, come il Politecnico di Milano, la SISSA di Trieste, e tante altre università italiane che non menziono per essere breve e alle quali porgo le mie scuse preventivamente per non averle citate.

Rette stellari

Se gli studenti di queste università si ritrovassero in un modello americano privato, le rette universitarie sarebbero astronomiche. Per dare un esempio, gli studenti ingegneri delle migliori università americane possono arrivare a pagare 45-50mila dollari all'anno di retta. Qualcosa d’improponibile secondo me in Italia. Negli Stati Uniti, vi sono alcuni esempi in cui le rette sono commensurate ai redditi delle famiglie degli studenti. Questo è ciò che si è sperimentato all'MIT ed in altre università americane, che condividono un modello simile all'Italia, anche se con rette in proporzione molto più alte: Gli studenti provenienti da famiglie meno abbienti pagano rette modificate molto basse, mentre gli studenti di famiglie benestanti pagano la retta completa.

Nonostante questi esempi meritevoli, in generale le spese per gli studenti di laurea sono notevoli in America, e non necessariamente questo deve essere il modello Italiano, a mio modo di vedere. Regole dovrebbero essere imposte per limitare le quote massime di iscrizione universitarie a valori non molto superiori agli attuali, ed il reddito delle famiglie degli studenti deve essere tenuto in considerazione, come avviene già attualmente nel sistema italiano.

Più libertà sugli stipendi

Un vantaggio sicuramente notevole di un modello privato è la maggiore libertà nel fissare gli stipendi dei professori. Questo porterebbe alcune università italiane a livelli di competitività salariale importanti nei confronti dell'Europa e dell'America. Ciò avrebbe un effetto positivo nel ridurre la fuga di cervelli di cui tanto si parla, ma a livello forse più importante, sul rientro dei cervelli. La competitività sui salari non deve essere sottovalutata in un discorso di rientro dei cervelli: se un professore italiano all'estero ha un gruppo di ricerca ben avviato e un ottimo tenore di vita, bisogna aspettarsi che entrambi questi fattori influenzino sulla sua decisione di tornare in Italia.

È difficile al momento capire tutte le implicazioni di un’ipotetica privatizzazione di alcune università. Comunque credo se ne debba parlare in termini generali, nei vari atenei potenzialmente interessati, per valutare pro e contro. Cari lettori, aspetto le vostre opinioni e i vostri punti di vista, il mio è un dialogo aperto.

A presto, un caro abbraccio a tutti voi e all'Italia.