In un momento in cui l’immagine del mondo accademico italiano è appannata da alcuni recenti fatti di cronaca, vorrei celebrare la Ricerca italiana semplicemente raccontando la mia esperienza di lavoro intenso e ricco di passione, nella certezza che tale esperienza, pur nella diversità dei campi di investigazione, sia condivisa da molti dei miei colleghi all’interno della istituzione in cui opero ed in altre università italiane.
Mi occupo di ricerca in ambito industriale, in particolare di modellazione, simulazione, monitoraggio e controllo di processi industriali, anche tramite l’impiego di tecniche di Intelligenza Artificiale per la elaborazione dati e la estrazione di conoscenza. Collaboro con molte aziende di diverse dimensioni, dalle Piccole e Medie Imprese alle grandi multinazionali e coordino un team prevalentemente composto da ragazzi giovani, pieni di talento, entusiasmo e voglia di fare.
Lavorare nel settore della ricerca con le aziende è bellissimo, almeno per noi, altrimenti non lo avremmo scelto, ma non è facile. Affrontiamo quotidianamente scadenze, consegne, meeting di aggiornamento e revisione, bilanci e rendicontazioni interne in maniera analoga ad una impresa, ma su molte procedure, ad esempio gli acquisti, seguiamo le regole e le tempistiche non proprio immediate della pubblica amministrazione.
Spesso supportiamo le aziende nella ricerca di finanziamenti pubblici a livello regionale, nazionale ed europeo per lo sviluppo delle loro idee più innovative e di frontiera, il che significa spendere settimane per costruire proposte di ricerca senza avere certezza che poi esse siano finanziate, condividendo il rischio ed il lavoro con i nostri colleghi nelle aziende. Tuttavia, e questa è una parte molto affascinante: in tal modo condividiamo anche le ambizioni e gli obiettivi tecnici e strategici dei nostri partner nello sviluppo di un processo, un prodotto o un sistema che vada veramente oltre lo stato dell’arte. Impariamo a conoscere sempre meglio i loro processi produttivi le loro aspirazioni in termini tecnologici e loro conoscono meglio le nostre tecnologie di punta, i nostri risultati più ambiziosi, che siamo sempre ansiosi di validare sul campo ed applicare in nuovi settori.
Il valore della nostra ricerca, la nostra “bravura” come ricercatori, viene misurato spesso valutando le nostre pubblicazioni. A noi piace farle, ma non sempre la nostra vocazione alle disseminazione è condivisa dalle aziende, le quali, giustamente, sono preoccupate di tutelare la proprietà intellettuale delle tecnologie e la confidenzialità dei propri dati. Noi cerchiamo di trovare un compromesso, spesso ci riusciamo, ma occorre tempo: possono passare molti mesi tra il conseguimento di un risultato di ricerca e la pubblicazione di almeno una parte del lavoro svolto, in una forma concordata con i nostri partner industriali. Alla fine, però, ho visto negli occhi di alcuni colleghi delle aziende mentre leggevano il proprio nome come co-autori di articoli su riviste prestigiose un orgoglio e quasi una emozione ben superiore a quello che provavamo noi “accademici”.
In realtà la pubblicazione scientifica è “parte del gioco”, ma non certo lo scopo finale, nemmeno per noi. Quando un risultato di ricerca viene validato sul campo in ambito industriale e, ad esempio, puoi toccare con mano l’effetto positivo del lavoro di anni sull’efficienza di un processo o di un macchinario lungo qualche centinaio di metri o sulla riduzione dell’impatto ambientale di un processo estremamente complesso, la soddisfazione è impagabile. Sentiamo di aver fatto il nostro dovere, dando il nostro piccolo contributo non solo al prestigio della istituzione alla quale apparteniamo o alla azienda che ha lavorato insieme a noi, ma al progresso del nostro Paese.
E infine, ultimi nell’ordine di questa mia elencazione solo per caso e non certo per importanza, ci sono le persone, i giovani in particolare: tesisti, dottorandi, assegnisti, borsisti e collaboratori. Arrivano in laboratorio la prima volta spesso timidi, impauriti ed impacciati, ma sai che sono in gamba, perché hanno studiato molto, hanno superato esami complessi e vinto concorsi competitivi. Piano piano li vedi sbocciare come fiori, maturare nelle loro conoscenze e nel loro sviluppo personale: diventano più disinvolti e intraprendenti, fanno esperienze all’estero, imparano a presentare i risultati dei loro studi, a sostenere le loro tesi in meeting o conferenze internazionali. È responsabilità e preciso dovere di noi, che siamo i loro tutori, fare in modo che il tempo che investono lavorando con noi sia il più proficuo possibile per loro oltre che per i progetti ai quali partecipano.
Alla fine, quando pensi di aver contribuito alla preparazione di un perfetto ricercatore, nella stragrande maggioranza dei casi ti lasciano ed è giusto che sia così. Spesso continuano a fare ricerca industriale in una delle aziende con la quale hanno collaborato mentre erano con noi, oppure ricevono un’offerta attraente da qualche partner. Alcuni creano una loro azienda, una startup, cercando di mettere a frutto le loro idee più brillanti e promettenti. Questo è un bene, vuol dire che loro hanno impiegato bene il loro tempo e tu hai fatto bene il tuo lavoro, ti riempie di orgoglio … anche se a volte è un piccolo pezzo di cuore che si stacca. Una minoranza di loro desidera e riesce a restare: anche loro, ovviamente, sono grande fonte di orgoglio, diventano i tuoi compagni di lavoro, condividono le tue ambizioni e i tuoi progetti, in un confronto continuo e ti danno lo slancio delle loro idee e del loro entusiasmo.
La ricerca è uno scambio continuo, scambio di conoscenze e di esperienze, ma anche scambio personale, perché, come recita un noto proverbio, se due persone hanno una moneta ciascuno e se la scambiano, alla fine hanno entrambi una moneta, ma se hanno un’idea ciascuno e se la scambiano, alla fine hanno entrambi due idee.