Come funziona l'"algoritmo Conte"

Come funziona l'"algoritmo Conte"

Data l'aleatorietà dei fattori (non solo medico/clinici ma anche sociali) relativi alla diffusione di un'epidemia, una exit strategy non può essere una prescrizione precisa, dettagliata e a priori delle riaperture a venire, ma un framework flessibile e reversibile, che permetta di ritornare sui propri passi al minimo accenno di problematiche. 
algoritmo conte epidemia 

© Francesco Militello Mirto / NurPhoto / NurPhoto via AFP
- Palermo durante l'emergenza coronavirus

Prevedere con esattezza un’epidemia è una cosa estremamente complessa. In primis, affinchè siano disponibili con sufficiente accuratezza ed affidabilità i dati necessari a valutarne l’evoluzione ed i parametri, la raccolta dati andrebbe predisposta in anticipo: già qui si vede il primo scoglio, in quanto prima che una epidemia si verifichi è difficile prevedere quali siano i fattori rilevanti. Inoltre, tali dati non sono solo di tipo medico/clinico, ma i meccanismi di stratificazione sociale, i pattern di interazione fra persone, i flussi di mobilità e le attitudini culturali (ad esempio toccarsi durante le conversazioni o starnutire nel gomito) possono modificare profondamente la velocità di trasmissione di un'epidemia; persino fattori climatici possono influenzare. Infine, soprattutto nelle fasi iniziali, una forte componente di aleatorietà viene in gioco, componente che viene rapidamente amplificata dal diffondersi della pandemia, portando a scenari profondamente diversi: ad esempio, il verificarsi di un evento meno probabile come l’inizio della pandemia in Basilicata e non in Lombardia avrebbe profondamente modificato la diffusione del Covid19.

Deve essere quindi chiaro che una exit strategy non può essere una prescrizione precisa, dettagliata e a priori delle riaperture a venire, ma un framework flessibile e reversibile, che permetta di ritornare sui propri passi al minimo accenno di problematiche. In tal spirito va letto l’allegato 10 del DPCM e allegato del 26 aprile 2020 (il cosìdetto “algoritmo Conte”): tale allegato mostra una impostazione robusta della exit strategy, una impostazione che tenga conto della necessità di adattarsi all’evoluzione di un fenomeno non-lineare qual è una pandemia. È comprensibile che in quest’epoca di ricerca di semplificazione, di messaggi che possano essere compresi dall’ “uomo della strada”, tale approccio venga percepito come indefinito, fumoso, approssimativo. Bisogna invece capire che i fenomeni complessi - per la loro stessa definizione - non possono essere semplificati ad libitum. Non sono fenomeni che possono essere affrontati con il senso comune senza rischiare di ottenere risultati contraddittori, contrari alle proprie intenzioni. Fenomeni che vanno controllati con procedure che - come quelle descritte nel decreto - siano in grado di adattarsi all’evoluzione stessa del fenomeno. Quanto siano complesse queste procedure è però in fondo solo un problema culturale: date in mano l’allegato dieci ad un ragazzino che abbia fatto coding e sia avvezzo alle mappe concettuali, e vedrete come gli risulterà facile e naturale capire il senso e le implicazioni della exit strategy.

Una exit strategy siffatta va però riempita: indica cosa fare, ma non come. Anche questa non è una mancanza, ma un pregio: riflette l’approccio modulare necessario ad integrare decisioni politiche con valutazioni guidate da fatti ed evidenze. Capire a che punto di una curva pandemica si sia, valutare i rischi di ospedalizzazione, individuare il nascere di recrudescenze, sono tutte attività che vanno delegate ad organismi più tecnici, in grado di  acquisire i dati necessari per elaborare modelli predittivi.

Il report dell’ISS sulla “Valutazione di politiche di riapertura utilizzando contatti sociali e rischio di esposizione professionale” è un ottimo esempio di come “riempire” l’algoritmo Conte. Nel suo report, l’ISS cerca di sovrastimare gli effetti di un rilascio di lockdown in cui si operino cautele "minime" che abbassino il famigerato R0 (ovvero l’indice di quanto velocemente si propaghi una epidemia) dal 15% al 25%. E' lo stesso approccio usato dal gruppo di ricerca a cui partecipo in un lavoro analogo rilasciato quasi un mese fa (https://arxiv.org/abs/2004.04608): in presenza di dati rumorosi ed incerti, bisogna guardare cosa possa mitigare lo scenario peggiore, in modo da cercare di essere abbondantemente in safety zone. Inoltre, attraverso l’uso di dati ISTAT e INAIL nonché dati di mobilità Google, si tiene conto non solo dell’impatto della riapertura sull’incidenza di casi gravi, ma anche delle ripercussioni economiche andando così a completare con una visione dinamica il discorso già iniziato dal nostro gruppo di ricerca utilizzando dati Facebook (https://arxiv.org/abs/2004.05455).

Ovviamente, non tutti gli aspetti vengono affrontati: ad esempio, non vengono prese in considerazione misure come l'identificazione tempestiva e l'isolamento degli infetti, misure sicuramente utili ma difficili da quantificare. Tale “dimenticanza” non deve però che rassicurarci sulla prudenza e sulla serietà, dal momento che ignorare misure scarsamente quantificabili in anticipo e che comunque non possono che migliorare il quadro ci riporta sempre in un approccio di minimizzazione del rischio.

Bisognerebbe a questo punto iniziare a lavorare sulla raccolta di dati utili a misure di contenimento dinamiche, come appunto l’identificazione e l’isolamento degli infetti. A tal scopo andrebbe verificata l’efficacia delle app predisposte dal governo e la loro capacità di interfacciarsi con modelli e con centri decisionali di interventi tattici e strategici come ASL, Ministero della Sanità ed ISS. In generale, per far funzionare il modello Conte, i modelli andrebbero “nutriti” (di dati) ed aggiornati giorno per giorno, facendo in modo che i loro risultati siano facilmente leggibili e interpretabili da operatori sanitari e decisori.

Un'ulteriore strategia per supplire alle difficoltà di raccolta dati sarebbe quella di affidarsi ai risultati di modelli diversi: all'epoca del “mouth and food disease” (una epidemia fra i bovini) l’Inghilterra fece un lavoro splendido usando per prendere le decisioni il confronto fra i risultati di TRE simulatori, ognuno con un livello di dettaglio diverso e quindi con una “dieta” diversa, che andava da dati più affidabili di minor dettaglio,  a dati più affidabili di maggior dettaglio (più difficili da reperire e più rumorosi).

Last but not least: la comunicazione. Governare una pandemia è un processo complesso, in cui ogni forma di comunicazione semplificata rischia di produrre fraintendimenti e polarizzazioni. Al contrario, proprio durante una pandemia - esattamente come durante una guerra - è necessario agire in maniera armonica e coordinata. E così come un sistema nervoso in disordine porta allo sfacelo di un corpo solo per i segnali errati che il cervello invia, così una comunicazione errata rischia di distruggere il delicato equilibrio delle misure - spesso controintuitive - che vanno adattate per uscire fuori da questa pandemia con il minimo rischio.