La natura aiuta le nostre società. Ma non lo mettiamo mai in conto

Soltanto la riscoperta di una cultura di integrazione con la natura genererà le condizioni per la sopravvivenza della specie umana

La natura aiuta le nostre società. Ma non lo mettiamo mai in conto  

Il complesso tema della valutazione dei contributi che la natura produce ed offre per la vita di ciascuno di noi è l’oggetto dell’opinione pubblicata su Science, nel recente numero del 19 gennaio. L’articolo è firmato da diversi autori, tutti membri della IPBES (Intergovernmental Science-Policy Platform on Biodiversity and Ecosystem Services - tradotto per i non anglofoni: Piattaforma Scientifico-Politica Intergovernativa sulla Biodiversità ed i Servizi Ecosistemici).

La IPBES è un’associazione mondiale di scienziati, di enti governativi e di diversi attori sociali che si è costituita con l’obiettivo di valutare e promuovere la consapevolezza del ruolo cruciale che la biodiversità, e la natura nel senso più ampio, esercita sulle attività umane.

Questa consapevolezza deve essere soprattutto inculcata nelle società ad economia sviluppata poiché in esse i veloci processi di capitalizzazione dell’economia e la conseguente industrializzazione ed urbanizzazione sono stati la causa di una netta separazione nella relazione uomo-natura.

A partire dagli anni ’80 del secolo scorso si diffonde tra alcuni studiosi del settore e, purtroppo, in una minoranza sparuta di cittadini, economisti e politici la consapevolezza del ruolo importante che la natura svolge sui sistemi socio-economici. In queste prime fasi prende così forma il concetto dei servizi ecosistemici, come formulato dal Millennium Ecosystem Assessment. I servizi offerti dalla natura, grazie soprattutto al contributo della componente vivente degli ecosistemi, che si esprime attraverso la biodiversità, sono molteplici, sia a vantaggio che a svantaggio dell’uomo. L’elenco è immenso, mi limito ad enunciarne alcuni: la fertilità dei suoli, purificazione di acque e atmosfera, controllo delle popolazioni, aspetti estetici, etc, etc, etc.

Gli autori della IPBES, nel loro articolo, presentano un nuovo approccio concettuale utile per valutare il ruolo della natura sui sistemi socio-economici. Questo approccio, da loro definito “Nature’s contributions to people (NCP)” (contributi della natura alle persone), si fonda sempre sui principi dei servizi ecosistemici ma intende mettere nel piatto della discussione e della valutazione anche il ruolo centrale e pervasivo delle culture locali nel definire i legami tra uomo e natura. Questa necessità nasce dal fatto che l’approccio classico di valutazione dei servizi ecosistemici è ancora permeato da una percezione economica neoclassica, poiché si basa su di una valutazione monetaria dei beni offerti dalla natura.

Condivido la posizione degli autori, le culture e le conoscenze locali rappresentano dei perni centrali sui quali basare la valutazione del ruolo della natura sulla nostra esistenza. Il problema fondamentale, che intendo evidenziare, è che bisogna generare culture e conoscenze capaci di dialogare con la natura; come in ogni dialogo bisogna avere la capacità di interpretare i punti vista, in questo caso comprendere meglio il linguaggio della natura, tentando il più possibile di scrollarsi di dosso una visione prettamente antropocentrica.

A tale scopo vorrei quindi inerpicarmi nel complesso sentiero della cultura. Tentare di definire in poche righe la cultura e compito arduo; nonostante le limitazioni ci provo, con la speranza di non banalizzare eccessivamente. La cultura è lo scrigno che contiene le conoscenze umane collezionate nel tempo, nel tentativo di interpretare e controllare la natura, di cui l’uomo ne è parte integrante. La cultura si manifesta in diverse forme: arte, filosofia, scienza, tecnologia, etc. Ho utilizzato il plurale perché la conoscenza si organizza su livelli e su scale, temporali e spaziali.

I livelli della conoscenza

La conoscenza umana è organizzata su due grandi livelli, il primo livello è definito dalla conoscenza endo-somatica ed il secondo da quella eso-somatica. La conoscenza endo-somatica è l’informazione contenuta nel genoma umano ed esprime la storia evolutiva della nostra specie ed è stata condizionata e definita dalle pressioni della natura. Questo livello di “conoscenza” è caratteristico di tutti gli organismi viventi. Le informazioni contenute nel genoma hanno permesso all’uomo di sopravvivere in determinati ambienti, consentendo quindi di generare una forma più sofisticata di conoscenza: vale a dire quella eso-somatica. La conoscenza eso-somatica non è una caratteristica specifica umana, ma sicuramente nell’uomo ha raggiunto le sue massime espressioni grazie alle capacità manipolative e ad un cervello molto sviluppato. Grazie a questo tipo di conoscenza la specie umana ha prodotto le diverse forme di cultura ed ha evoluto nel tempo sistemi socio-economici sempre più complessi, generalmente basati sullo sfruttamento delle risorse naturali.

La conoscenza nel tempo

La dinamica temporale della conoscenza eso-somatica si è sviluppata in tempi relativamente brevi, in riferimento allo sviluppo del pianeta ed alla stessa presenza umana nel pianeta. La disponibilità di risorse e soprattutto di energia ha rappresentato il fattore di innesco per lo sviluppo della conoscenza e delle culture umane. Due grandi eventi, associati alla disponibilità di energia per l’uomo, hanno determinato i repentini sviluppi della conoscenza: (i) la scoperta dell’agricoltura, circa dieci mila anni fa; (ii) la scoperta dell’energia fossile, poco più di un secolo fa.

La conoscenza nello spazio

La diversità ambientale e la disponibilità delle risorse locali sono quindi i fattori che hanno influenzato la comparsa e lo sviluppo di conoscenze e culture territoriali. Il massivo ingresso di energia fossile ha consentito di ridurre le differenze territoriali della disponibilità di risorse, generando quel fenomeno di globalizzazione che sta determinando una cultura planetaria sempre più uniformata al modello dominante occidentale.

Quello che sta succedendo alla natura, per effetto della pressione di culture umane sbagliate, si ripercuote inevitabilmente sulla stessa specie umana. In realtà le evidenze di questi ultimi secoli dimostrano che è il modello culturale occidentale, che da un eccessivo peso al valore monetario delle attività economiche, il principale responsabile delle pressioni sulla natura.

Questo modello culturale appare “dopato” dal surplus di energia che ha generato una sorta di “stato di narcosi” che impedisce le facoltà di comprendere la realtà dei fatti e la capacità di comunicare con la natura e di interpretare correttamente il suo punto di vista. Bisogna quindi avere il coraggio di essere “ottimisticamente pessimisti”. Questo ossimoro dovrebbe fornire all’uomo la capacità di interpretare la realtà e di individuare le corrette strategie per la stessa sopravvivenza della specie umana.

Dovrebbero essere organizzati quelli che chiamo “laboratori di disintossicazione”, vale a dire azioni e dibattiti che coinvolgano il maggior numero possibile di attori per generare la coscienza dello “stato di narcosi” che la cultura dominante ha generato. L’attuale cultura umana dominante confida troppo su un singolo aspetto della cultura: la tecnologia. La tecnologia è certamente uno dei tanti strumenti cognitivi che può e deve essere utilizzato per migliorare le nostre condizioni di vita, oggi come in lontano futuro. Deve essere condizione fondamentale includere il maggior numero di strumenti culturali unitamente ad una vera politica globale e condivisa di controllo demografico e di razionale utilizzo delle risorse. In caso contrario questa cultura non sarà capace di resistere alle pressioni della “cultura della Natura”.



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