I migranti del clima

Si fugge non solo dalla povertà e dalla guerra, ma anche dalla distruzione dell'ambiente

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Diana Zeyneb Alhindawi /Oxfam 
Campo profughi di Kalunga

Nel nostro mondo, sovrappopolato e soggetto agli effetti del cambiamento climatico, sta assumendo sempre maggiore evidenza il ruolo di quest’ultimo sulle migrazioni interne e transnazionali dai Paesi in via di sviluppo verso le nazioni economicamente più prospere, evidenziato anche da lavori recenti sul tema.

Per esempio, uno studio di un gruppo di ricerca anglo-austriaco, con Abel primo autore, pubblicato quest’anno su Global Environmental Change, indica che il cambiamento climatico agisce come un fattore di spinta attraverso il suo ruolo di catalizzatore dei conflitti, ed esplicita la correlazione con le migrazioni analizzando dettagliatamente il caso della guerra in Siria e concludendo che le condizioni siccitose hanno svolto un ruolo significativo come fattore esplicativo per le richieste di asilo nel periodo 2011-2015.

Prima delle guerre, il clima

Anche un più elaborato studio italiano di Pasini e Amendola, pubblicato sempre nel 2019 su Environmental Research Communications, mostra come, nel quindicennio a cavallo del nuovo millennio, e quindi prima dei moti che hanno infiammato diverse nazioni dall’Algeria alla Siria, le migrazioni dall’area del Sahel all’Italia siano state favorite soprattutto dalle condizioni meteorologiche nelle zone più suscettibili agli impatti più sensibili e intensi del cambiamento climatico.

In particolare, l’analisi degli scienziati, condotta impiegando modelli a reti neurali, ha permesso di attribuire circa l’80% della variabilità dei dati alle condizioni meteorologiche molto calde e siccitose ed alla loro influenza sulla produttività agricola della zona, con carestie che, agendo da fenomeno catalizzatore, hanno amplificato le migrazioni dal Sahel verso l’Italia.

Dal momento che le proiezioni climatiche su quell’area per il futuro sembrerebbero riservare condizioni ancora più estreme, sia per calore che per siccità, la correlazione trovata da Pasini e Amendola risulta molto preoccupante, anche alla luce della possibilità che si possano superare dei valori soglia (i famigerati “tipping point”: si veda al riguardo questo articolo di Hansen del 2009) oltre i quali i flussi migratori potrebbero aumentare a dismisura, diventando incontrollabili.

La relazione tra cambiamento climatico e migrazioni è anche il tema dominante del nuovissimo documentario The Climate Limbo, promosso dall’Associazione di Promozione Sociale Cambalache, realizzato da Dueotto Film, scritto da Elena Brunello, con la regia di Paolo Caselli e Francesco Ferri, e prodotto grazie al finanziamento del Consorzio delle Ong Piemontesi da Frame, Voice, Report! e con il contributo dell’Unione Europea, prossimamente sugli schermi.

Le storie raccontate nel documentario, inframmezzate dal commento di qualche studioso, spaziano dalla realtà estremamente difficile della vita dei migranti nei Paesi meno sviluppati a quella degli allevatori in Italia, le cui vite e attività sono anch’esse influenzate dal cambiamento del clima, con qualche incursione fin sui ghiacciai alpini. Un connubio scelto proprio perché il nostro Paese potrebbe subire sia gli effetti negativi del cambiamento climatico, sia l’incremento dei flussi migratori dall’Africa.

È per questo motivo che la politica dovrebbe iniziare sin da subito ad adottare strategie utili di adattamento e mitigazione, sia in patria che – soprattutto - in Africa, cercando così di prevenire, o quanto meno limitare, le migrazioni forzate agendo sulle loro cause.



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