Non si scappa: l'unica difesa contro l'influenza è il vaccino. Però, come abbiamo modo di verificare ogni anno, anche i vaccini correnti per quanto efficaci hanno dei limiti. Quelli attualmente in circolazione si basano sulla somministrazione delle due proteine virali (emoagglutinina e neuraminidasi, indicate con H e N) che stimolano la produzione di anticorpi.
L'efficacia con cui questa stimolazione avviene, però, dipende anche dal sistema immunitario del soggetto e quindi può essere variabile da individuo a individuo. Uno studio di ricercatori dell'Università della California appena pubblicato sulla rivista Science, utilizza un approccio radicalmente diverso per ottenere vaccini in grado di indurre una risposta immunitaria più complessa (e quindi robusta).
Quando un virus ci infetta, l'organismo attiva immediatamente la risposta detta di immunità innata. Si tratta di una rete di "sensori", cioè proteine recettrici presenti nella maggior parte delle nostre cellule, in grado di registrare l'arrivo del virus e di innescare una cascata di segnali che porta a due effetti principali: la produzione di proteine con attività antivirale (già nelle prime ore) e la stimolazione dell'immunità adattativa (che invece richiede qualche settimana per arrivare al massimo).
Quest'ultima è responsabile della produzione di anticorpi e anche della memoria immunologia, ovvero la capacità del sistema immunitario di "ricordare" il virus e quindi essere in grado di reagire prontamente. La vaccinazione serve proprio a istruire il sistema immunitario, in modo che la risposta adattativa si attivi in pochi giorni invece che in settimane. Un'altra componente dell'immunità adattativa sono i linfociti T citotossici, cellule cioè in grado di riconoscere selettivamente le cellule infette e distruggerle prima che possano rilasciare i nuovi virus.
Una delle proteine prodotte rapidamente dall'immunità innata è l'interferone: una molecola in grado di contrastare la replicazione virale nei primi giorni dell'infezione. Inoltre l'interferone gioca un ruolo importante nella stimolazione della risposta adattativa, sia anticorpale che dei linfociti T.
La cattiva notizia è che i virus, incluso quello dell'influenza, da parassiti efficienti quali sono hanno evoluto meccanismi per neutralizzare l'effetto dell'interferone. I ricercatori americani si sono concentrati proprio su questo aspetto. Utilizzando tecnologie di ingegneria genetica di ultima generazione, hanno introdotto mutazioni in ogni singola posizione del genoma del virus dell'influenza e, di volta in volta, hanno verificato se queste alterazioni rendessero il virus più sensibile all'azione dell'interferone.
Hanno così identificato otto mutazioni in geni diversi che rendevano il virus incapace di combattere la risposta immunitaria innata. A questo punto hanno generato un virus ricombinante, "cucendo" insieme i diversi geni mutati. Il virus risultante, inoculato in topolini, si è mostrato molto inefficiente nel provocare l'infezione, data la sua grande sensibilità alla risposta dell'interferone, ma estremamente efficiente nello stimolare la risposta immunitaria, in particolare quella mediata dai linfociti T. Infatti, i topolini che erano stati infettati da questo virus attenuato, non si sono ammalati ma hanno sviluppato immunità verso diversi ceppi di virus influenzale "selvaggio".
Questo approccio, potrebbe essere utilizzato per generare vaccini in grado di indurre una risposta immunitaria rinforzata non solo contro il virus dell'influenza, ma anche altri virus.