Vi è mai capitato su Facebook di assistere a strenue difese di una propria opinione fino alla totale esclusione per inadeguatezza al pensiero dominante di quanti se ne discostino?
Il meccanismo è questo: la credibilità delle notizie che vengono postate - afferma Antonio Valentini del Corriere Fiorentino e del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti - è spesso solo “identitaria” ovvero il fatto di riconoscersene in qualche modo ne garantisce la divulgazione “oligarchica”, poiché mette a rischio la cultura democratica nel momento in cui si rincorrono e si riconoscono solo le proprie opinioni e tutto ciò che le riflette a specchio, creando relazioni “copie” che formano “camere d’ascolto” o “echo chambers” (tradotto in “camere dell’eco”) atrofizzate nel pensiero.
Le bufale e il pregiudizio di conferma che spinge a crederci
E’ il cosiddetto “pregiudizio di conferma”: si rifiuta ciò che è diverso o opposto e si accetta solo chi non esuli o si conformi alle proprie opinioni. Questo purtroppo avviene non solo per le proprie opinioni, ma anche per le spinte emozionali, spesso suggerite dai cosiddetti ‘fake’: le bufale sui social.
Sembra scontato ma libertà, completezza, utilità sociale, rispetto, chiarezza, sono gli ingredienti chiave di quanto concorra alla credibilità di una notizia e di chi la scrive, all'informazione che si basi su pilastri etici di assoluta stabilità, oggi pericolosamente sul filo del rasoio, in bilico tra verità e "post-verità". Quest'ultimo pare sia stato il neologismo più diffuso del 2016, dove il prefisso ‘post’ assume il significato di ‘oltre’, più che di ‘dopo’, come ha segnalato anche l’Accademia della Crusca commentando il neologismo: qualcosa che va al di là della verità sostanziale dei fatti e che non è una verità assoluta e metafisica né ciò che miri alla corrispondenza tra i fatti accaduti e quelli narrati, bensì una falsa verità, una bufala, appunto, senza alcun obiettivo morale, gusto della precisione o della misura, totalmente infondata ma dalla forte carica emotiva.
La post-verità descrive perfettamente un'epoca
Post-verità, afferma Marco Biffi, docente di linguistica italiana all’Università di Firenze e responsabile dei progetti digitali dell’Accademia della Crusca, “è una parola che ha un forte peso culturale: descrive perfettamente un’epoca, la nostra, in cui conta l’apparenza e non la sostanza, in cui si dà molta importanza a quello che circola nella Rete. È la consacrazione dell’opinione da bar a opinione fondata, e tutto portato su scala mondiale”.
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Da una parte c’è l’articolo 21 della Costituzione, sul diritto di manifestare il proprio pensiero con la parola, con lo scritto o con ogni altro mezzo di diffusione senza autorizzazione o censura, che garantisce la libertà di pensiero come diritto assoluto. Dall’altra c’è il rischio di forme di “democrazia immediata”, come sostiene Ilvo Diamanti di Repubblica, “dove la deliberazione e l’esecuzione avvengono contestualmente”.
La gabbia del pregiudizio e delle opinioni
Molto interessante la ricerca sul tema da parte di Walter Quattrociocchi, coordinatore del Laboratorio di Computational Social Science dell’Imt di Lucca: l'individuo posto di fronte a un’idea diversa dalla sua non fa che radicalizzarsi e arroccarsi sulla propria opinione, senza cambiare idea nemmeno davanti a verità accertate, vero e proprio punto di partenza per un altro fenomeno, quello della manipolazione e dell’ “inoculazione cognitiva”.
Potremmo diventare cioè automi ricettori di falso costruendo su di esso principi di nostre verità: una sorta di mondo alla rovescia guidato da gruppi cognitivi diversi, una guerra dei mondi. Scenari apocalittici? Tutto ha sempre delle conseguenze, inevitabile considerare i prodromi sociali e politici di un fenomeno capillare che investe la stragrande maggioranza della popolazione. Come potrà Facebook dotarsi di strumenti adeguati ad arginare queste possibili, futuribili e probabili, derive? Come operare verso una sensibilizzazione all’etica?
La verifica delle informazioni, un problema anche della scienza
In ambito scientifico la verifica delle informazioni è sempre un passo fondamentale per comunicare. La cosiddetta ‘peer review’ ovvero la ‘revisione paritaria’ o valutazione tra pari (esperti nello stesso campo) ha lo scopo d’accertarsi sulla provenienza del materiale informativo e sulla sua fonte, oltre che sui livelli di innovatività dei contenuti che rendono un articolo idoneo ad essere pubblicato e divulgato.
Tuttavia anche in questo campo una ormai clamorosa inchiesta della prestigiosa rivista scientifica Science, dal titolo “Chi ha paura della peer-review?” ha portato alla luce dati scoraggianti sulle riviste accademico-scientifiche on line, cosiddette ‘open access’, per le quali è stato dimostrato che nel 60% dei casi è stato accettato uno studio privo di fondamento, realizzato ad hoc e riempito di errori elementari, eppure poi creando follower e condivisioni sui social. Totali bufale scientifiche.
Come orientarsi nell’era della post-verità? Al di là delle questioni filosofiche e giuridiche che il tema fa emergere, resta il fatto che disinformazione e disambiguazione dei contenuti destabilizzano e destrutturano l’”ordine” in cui si è cullata la nostra cultura. E chissà che non sia il Caos la nuova palestra per il nostro futuro.