I giovani sembrano le vittime predestinate dello stato di salute del nostro Paese, coloro sui quali si dovrebbe investire perché sono il futuro. E invece, cosa accade? Ci troviamo davanti ad un dilagare del precariato, di fronte alla temporaneità, tutto a termine, tutto instabile e senza prospettiva. Si crea in questo una condizione di incertezza socioeconomica e in parallelo si alimentano le paure per il futuro, le insicurezze per ciò che sarà, l’instabilità sulla quale non si possono inserire delle basi solide su cui poggiare.
Non basta tener duro per poco tempo
Il problema vero è legato all’impatto che questa condizione ha sui più giovani. Non è uno status transitorio per cui basta tener duro per un pochino di tempo, rimboccarsi le maniche, per poi uscirne, è una condizione che si aggrava ogni giorni di più, che porta i giovani a fuggire all’esterno, a doversi reiventare ogni giorno, ad andare contro i propri sogni. È troppo tempo che c’è una crisi generale che non apre prospettive future, generando profonde condizioni di stress psichico che vanno ad intaccare la voglia di fare, la gioia di credere di poter riuscire, di realizzarsi di trovare una propria dimensione personale e professionale. È come una lenta lapidazione, delusione dopo delusione, no dopo no, ingiustizia dopo ingiustizia, rischia di andare a prosciugare le forze per combattere che in genere sono alimentate dai sogni e dal credere in se stessi e nelle proprie capacità.
Crisi del lavoro significa crisi di identità
Il lavoro è fondamentale da punto di vista psicologico, permette l’autoaffermazione, l’autonomia economica, la realizzazione dei propri sogni e la soddisfazione dei propri bisogni. Consente di sperimentare la propria autoefficacia e di rinforzare la propria autostima. Se il lavoro è il primo ad essere intaccato dalla crisi, si rischia una crisi di identità, un crollo personale e il fiorire delle paure di non farcela. Ciò che distrugge da un punto di vista psicologico è l’impotenza, il non riuscire ad esprimersi, a realizzarsi, a corrispondere alle proprie aspettative e a quelle degli altri. Ci si porta dentro solo il proprio fardello, sommato a quello della paura di deludere i genitori, di non sapere come fare in un futuro senza di loro, di vedere gli altri magari in qualche modo andare avanti, delle raccomandazioni, di un Paese che non premia con la meritocrazia ma chi troppo spesso ha già un paracadute da aprire nei casi di necessità.
Precarietà e instabilità logorano quanto lo stress
Lo stress logora, l’instabilità e la precarietà pure. Per questa ragione non si può stare in silenzio davanti a tutto questo, perché il problema non è solo l’incremento del tasso suicidario, è il vissuto quotidiano di demoralizzazione, di ansia, di preoccupazione, di depressione che vivono migliaia di giovani che va ad appesantire il loro di salute generale e a gravare non solo da un punto di vista personale, anche sulle tasche della società, già belle che bucate. Tutto questo rischia di andare ad intaccare i sogni, pesa sulla vitalità e alimenta la paura di creare un nucleo familiare autonomo. Purtroppo stanno aumentando i giovanissimi che non ce la fanno a tollerare questo peso emotivo, che arrivano a commettere un gesto estremo, a lanciare un grido di dolore così macroscopico perché non hanno più le forze di combattere ad armi dispari. Significa essere vittime di un lungo processo e della somma più fattori che hanno portato a non voler più combattere per se stessi e per il proprio futuro. Sono ragazzi che smettono di credere nelle proprie capacità, che si fanno schiacciare, che cercano di coltivare un futuro in un terreno instabile e traballante.
C'è sempre una via d'uscita, anche quando non è facile trovarla
Bisogna rinforzare questi giovani, non si deve sottovalutare il problema, bisogna intervenire fin da quando sono piccoli, fin dall’adolescenza, quando iniziano a sognare e a mettere le basi per il proprio futuro professionale. Le principali agenzie educative, non devono mai smettere di alimentare i loro sogni e le loro ambizioni, di spiegargli che anche se è difficile, c’è sempre un valido motivo per cui combattere che si chiama VITA, perché c’è sempre una via d’uscita, anche se non si trova con facilità. C’è anche un però, non si possono bombardare da un punto di vista social e mediatico, non possono crescere a pane e crisi, non si può parlare solo di drammi e di statistiche che farebbero allarmare chiunque. In più, anche i genitori e gli insegnati devono stare attenti perché questi giovani crescono sentendo quotidianamente di problemi, di difficoltà economiche, di lamentele, di negatività. È giusto non nascondere la verità e lo stato delle cose, ma sono troppo pressati e in un’età in cui sono ancora vulnerabili, rischiano di farsi invadere e di vedere un mondo più nero di quello che è. Ovviamente non si deve dimenticare che le reazioni variano in base alle risorse individuali, alle componenti soggettive e all’ambiente che circonda questi giovani.