La morte dei dromedari in Africa è il presagio di un disastro che colpirà 20 milioni di persone
Oggi come nel 2011 nelle regioni occidentali del continente non piove. Allora morirono circa 1000 persone al giorno, per mesi. Oggi possiamo muoverci in anticipo

In Africa in queste settimane hanno cominciato a morire i dromedari. E se la siccità fiacca perfino la resistenza dei dromedari c’è da preoccuparsi. E’ già successo nel 2011. Allora le persone cominciano a fuggire dalla sete e dalla fame e per quattro mesi morirono 1000 persone al giorno. Tutti i giorni da maggio ad agosto, la metà erano bambini. Non ci si accorse in tempo dei segnali e la carestia fu dichiarata solo il 20 luglio del 2011.
La vita scandita dalle stagioni delle piogge
Come allora, in quei luoghi dell’Africa orientale, il ciclo della vita è scandito dalle stagioni delle piogge. E sono tre anni che in Somalia piove poco e male. Hanno aspettato, invano, le piogge di Hagaa, quelle che vanno da luglio a settembre, e poi quelle del Deyr, quelle che da ottobre a dicembre riempiono i mercati di cereali.
Le famiglie sono stremate da anni di scarsità di cibo, impossibilitate a costruire quelle riserve minime che potrebbero garantire di superare questo ennesimo periodo di carenza di risorse.
racconta Amina, fuggita dal suo villaggio ormai diventato deserto.
Una situazione più grave del 2011 in 6 Paesi africani
Per tanti aspetti la situazione è perfino più grave del 2011. Anche perché la crisi è andata oltre i confini della Somalia interessando tutta la regione, coinvolgendo anche il Kenya, l’Etiopia, Djibouti, l’Uganda e il Sud Sudan, dove è già stata dichiarata la carestia.
Ci sono oltre 20 milioni di persone che hanno urgente bisogno di aiuto umanitario. E questi numeri probabilmente aumenteranno nelle prossime settimane. Già oggi oltre 600,000 bambini con meno di 5 anni hanno bisogno di cure per casi di malnutrizione grave in Somalia, Kenya ed Etiopia. Abdifatax, 15 mesi è uno di loro, è intubato, e si trova nell’ospedale di Garowe, dove è stato portato dopo ore di cammino dai suoi genitori. Abdifataz ce la farà, lo hanno preso in cura al centro di stabilizzazione per la malnutrizione.
L’ospedale purtroppo è ormai pieno. La siccità colpisce al cuore strutture sociali già fragili. I sistemi sanitari rischiano il collasso e la mancanza di acqua potabile porta con sé malattie infettive molto gravi, innanzitutto il colera. Ma è l’intero sistema paese che viene sconvolto, che viene messo a dura prova, costretto in ginocchio. Il Kenya ha dichiarato lo stato di “disastro nazionale”, l’Etiopia, che già da due anni lotta contro gli effetti del Niño, ha moltiplicato gli sforzi. Entrambi i Paesi hanno chiesto aiuto alla comunità internazionale, che si sta mobilitando. Anche memore degli errori e dei ritardi del 2011.
Discorso diverso per la Somalia, dove si scontano anni di violenze e instabilità. Nelle ultime settimane si è concluso un complesso processo elettorale testimonianza dell’ennesimo tentativo di ricostruzione dello Stato, ma non sarà ovviamente in grado di fornire risposte adeguate all’attuale emergenza umanitaria.
Lo scenario è drammatico e siamo già di fronte ad una tragedia. Ma se la siccità peggiorerà nei prossimi mesi, perché la stagione del Gu, come probabile, non porterà le piogge sperate, dovremo fare di tutto perché non si trasformi in una catastrofe. Come nel 2011.