Nell’ultima versione della sua ‘Essential List of Diagnostics’, cioè la lista degli esami di laboratorio e dei dispositivi medici diagnostici giudicati indispensabili in tutto il mondo, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), ha inserito per la prima volta una sezione specifica dedicata alle analisi da fare per lo screening delle donazioni di sangue.
La novità, scrive la stessa Organizzazione, “fa parte di una strategia più ampia dell’Oms per rendere le trasfusioni più sicure”, e ci ricorda che se l’Italia e in generale i Paesi a più alto reddito hanno fatto passi da gigante in questo senso, rendendo le infezioni trasmesse con le trasfusioni ormai un doloroso ricordo, c’è ancora molto da fare altrove. Non a caso lo slogan scelto quest’anno per il World Blood Donor Day del 14 giugno è stato ‘Safe blood for all’.
Il testo, pubblicato questa settimana, inserisce nell’elenco i test per lo screening di epatite B e C, Hiv, treponema (l’agente infettivo della sifilide) e per virus che possono comportare rischi in determinati territori o periodi di tempo, come Zika o il West Nile. Si tratta di procedure diagnostiche che nel nostro paese fanno parte della routine ormai da diversi anni, tanto che nell’ultimo decennio non si registrano infezioni, mentre le notizie che periodicamente si trovano sui media riguardano casi risalenti a venti o trent’anni fa.
I test a cui viene sottoposto il sangue donato, che non può essere utilizzato prima dell’esito, sono uno dei pilastri che garantiscono la sicurezza, insieme al questionario e al colloquio con il medico, che riducono la possibilità che doni una persona che potrebbe aver avuto un comportamento a rischio, ma la prima garanzia viene dalla scelta etica di utilizzare sangue proveniente solo da donazioni volontarie, anonime e non remunerate.
Se si riceve un pagamento o si dona per una persona in particolare, ad esempio un parente, è possibile che si scelga di nascondere eventuali fattori di rischio. Il sistema italiano ha appena avuto un grande riconoscimento da parte dell’Oms, che ha assegnato al nostro paese l’organizzazione dell’evento mondiale del World Blood Donor Day 2020, un’occasione anche per diffondere questo modello. Secondo le cifre dell’Organizzazione infatti ci sono ancora 58 paesi nel mondo che raccolgono più del 50 per cento del sangue da familiari o comunque persone indicate dal ricevente o da donatori pagati. Ancora peggiore è la situazione per quanto riguarda la donazione di plasma, con solo 50 dei 173 paesi monitorati che producono i farmaci plasmaderivati che utilizzano, e 26 che dichiarano di non utilizzarli affatto, nonostante nell’elenco ci siano molte terapie salvavita.
Il Centro Nazionale Sangue ha coordinato insieme alle Regioni e alle associazioni di volontari diversi programmi di donazione di farmaci, più precisamente di fattori di coagulazione, ai pazienti di paesi in difficoltà, dalla Palestina all’Afghanistan all’Armenia, e in molti casi insieme alle terapie abbiamo fornito e forniamo aiuto nella costruzione di un sistema sangue paragonabile al nostro. Recentemente ad esempio in Salvador Avis e Fiods, la federazione mondiale dei donatori, hanno contribuito alla creazione della prima associazione di donatori volontari, e il Cns ha fornito supporto e consulenza per l’adeguamento, tutt'ora in corso, del quadro normativo.