L’agenzia governativa statunitense Environmental Protection Agency (EPA) ha la missione di proteggere la salute delle persone e l’ambiente. Per fare questo si occupa della messa a punto e dell’applicazione di misure dedicate. Misure e regolamenti che ovviamente impongono dei costi di implementazione e mantenimento per le strutture pubbliche, per gli enti privati profit e non-profit e anche per i singoli cittadini, negli USA come negli Paesi.
Aggiornare la tecnologia con cui si producono le auto, dotarsi delle infrastrutture per distribuire acqua pulita nelle case, utilizzare solo determinate materie prime per l’edilizia e così via: le ricadute economiche di ogni regolamento sono valutate dall’agenzia in termini di bilancio costi-benefici. Perché è chiaro che nel momento in cui si valuta la fattibilità dell’introduzione nella società di un nuovo comportamento che può migliorare la vita delle persone, non si può ignorarne la sostenibilità dal punto di vista economico.
Ebbene, le linee guida di EPA dicono, in sostanza, che vale la pena di sviluppare e applicare misure che costano, complessivamente, fino a sette milioni di dollari per ogni singola vita potenzialmente salvata.
Mi ha colpito questo dato che, in un editoriale pubblicato recentemente da Investor’s Business Daily, serviva da spunto per ridimensionare le critiche ai costi di alcune terapie avanzate approvate in questi anni. In effetti, se considerato da questo punto di vista, il costo di queste terapie, incluse le terapie geniche, dovrebbe destare molto meno stupore di quello che capita spesso di osservare.
Il tema dei costi delle terapie innovative ricorre sempre più spesso visto che il numero delle terapie geniche che entrano nella pratica medica oltre la dimensione sperimentale sta aumentando. È di pochi giorni fa la notizia della registrazione della seconda immunoterapia contro alcune forme di linfoma e probabilmente sentiremo molto presto parlare di nuovo di terapia genica per l’adrenoleucodistrofia (la malattia dell’Olio di Lorenzo) e per una forma di cecità genetica, l’amaurosi congenita di Leber.
Tra l’altro, mi piace ricordare che allo sviluppo della terapia genica per l’amaurosi, ora portata alla fase registrativa da un’azienda statunitense, hanno contribuito anche i ricercatori dell’Istituto Telethon di genetica e medicina di Napoli. Tenuto conto del fatto che la scienza va nella direzione dell’ottimizzazione dei processi e che le terapie geniche rappresentano un investimento oneroso oggi, ma con ampie ricadute potenziali per le generazioni future, nella valutazione costi-benefici di un trattamento di terapia genica c’è da considerare anche il costo, economico, sociale ed etico, dell’alternativa.
Per alcune patologie, l’alternativa è rappresentata da terapie croniche (ad esempio terapie enzimatiche o trasfusioni) che complessivamente hanno un costo decisamente superiore al singolo trattamento di terapia genica: è il caso dell’immunodeficienza Ada-Scid, per cui la terapia genica è diventata un “farmaco” accessibile a tutti i pazienti nel 2016, e di patologie come la talassemia e l’emofilia per cui questa opzione terapeutica potrebbe diventare una realtà entro pochi anni.
In altri casi, come ad esempio per i bambini che nascono con la leucodistrofia metacromatica e l’adrenoleucodistrofia - per citare quelle per cui la sperimentazione clinica è in una fase più avanzata- e molte altre malattie genetiche potenzialmente risolvibili con la terapia genica, l’alternativa è la morte.
Ammesso che si possa contabilizzare il valore di una vita, salvare queste vite comporta investimenti decisamente inferiori a tutta una serie di misure di protezione della popolazione che diamo oramai, fortunatamente, per scontate. Una società civile può, e deve, permettersi di fare tutto il possibile perché le persone non muoiano più di malattie per cui esiste una soluzione.