Lo Stato pagherà la terapia CAR-T solo se dimostrerà di funzionare sul singolo paziente

Stato e azienda farmaceutica si fanno carico, ciascuno per una parte, dei costi che possono derivare da un successo o da un insuccesso terapeutico

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UWE ANSPACH / DPA / DPA PICTURE-ALLIANCE

Le terapie avanzate rappresentano una grande opportunità per i pazienti, ma per il sistema sanitario nazionale sono, in prima battuta, una sfida di sostenibilità. I titoloni sul prezzo fatti poco tempo fa (leggi qui) a proposito di un’altra terapia avanzata dimostrano quanta attenzione ci sia all’aspetto economico, e anche quanta poca consapevolezza ci sia sulla reale portata innovativa delle terapie avanzate. 

Portata che però non è sfuggita all’Aifa – Agenzia Italiana del Farmaco che proprio ieri ha siglato un accordo a riguardo con Novartis Oncology, approvando di fatto la prima terapia CAR-T in Italia: tisagenlecleucel (Kymria), destinato a  pazienti adulti con linfoma diffuso a grandi cellule B (DLBCL) resistenti alle altre terapie o nei quali la malattia sia ricomparsa dopo una risposta ai trattamenti standard e per pazienti fino a 25 anni di età con leucemia linfoblastica acuta (LLA) a cellule B.

Leggi anche: Come funziona la prima terapia CAR-T contro i tumori

Accordo raggiunto anche per merito anche dell’azienda che ha pensato bene di non lavorare solo su una richiesta di prezzo, ma di aprire invece un dialogo costruttivo con gli stakeholder, Aifa in testa, per trovare un modo innovativo di mettere a disposizione un farmaco a sua volta  innovativo.    

Il nuovo meccanismo di pagamento, che l’azienda sperimenterà su sé stessa, si chiama payment at result (pagamento al risultato): significa che l’ospedale pagherà le terapie se e solo, queste dimostrano chiaramente di funzionare. Non negli studi clinici però, dove la cosa è già stata mostrata, ma sul singolo specifico paziente che verrà monitorato attraverso appositi registri: insomma, dovranno funzionare nella ‘real life’.

Secondo l’accordo appena concluso solo una piccola quota del prezzo stabilito (che sarà poi reso noto con la pubblicazione dell’accordo in Gazzetta Ufficiale) sarà pagata al momento dell’utilizzo del farmaco, una seconda tranche sarà dovuta dopo 6 mesi e una terza dopo 12 mesi, ma sempre e solo a patto che dai registri di Aifa, che i medici dovranno compilare, si dimostri che la terapia ha mantenuto le sue promesse di efficacia. In caso contrario l’azienda non vede un euro.

Stato e azienda farmaceutica si fanno carico, ciascuno per una parte, dei costi che possono derivare da un successo o da un insuccesso terapeutico: se funziona paga il SSN, che garantisce al cittadino il diritto alla salute, ma se non funziona – e si tratta di ipotesi tutt’altro che teorica - l’azienda farmaceutica accetta il fatto di doverci rimettere. Per di più per gli ospedali la programmazione sarà più semplice, perché la divisione in diverse tranche di pagamento su 12 mesi permetterà di spalmare il costo su due anni di competenza differenti.            

Questo nuovo modello che entra in scena insieme alla prima CAR-T potrà poi essere preso in considerazione anche per altre terapie avanzate che stanno per arrivare alla fase di commercializzazione. 



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