Perché i cardioscienziati a San Valentino vanno ad Imola

Nella città che diede i natali al pioniere Antonio Maria Valsalva, gli studiosi italiani del cuore pubblicamente rinnoveranno amore a chi ha il cuore stanco o malato

Perché i cardioscienziati a San Valentino vanno ad Imola

La Festa di San Valentino, un martire, fa tenere stretto il cuore di chi si ama, nella salute come nella malattia. Sebbene l’amore sia nella natura dell’uomo, ciascuno lo festeggia il 14 febbraio, cuore dei Lupercali romani.  Quest’anno anche i ricercatori cardiovascolari italiani, una parte dei giovani del tesoretto che non c’è, detentori di primati nella scoperta con le loro ricerche, vogliono dire a ciascun ammalato che sogna un cuore nuovo: “Ti ho a cuore!”, ogni giorno.

Lo diranno per la prima volta a Imola, dov’è nato il medico Antonio Maria Valsalva, uno dei padri delle cardioscienze. Tra meno di 24 ore e per un giorno, i cardioscienziati si alzeranno dai banconi lucidi dei laboratori e usciranno dai corrido i lunghi dei reparti, alzeranno gli occhi dai microscopi e dai diafanoscopi, chiuderanno i fogli di calcolo e di scrittura, per dare vita alla Prima Giornata Italiana per la Ricerca Cardiovascolare.

Lo faranno mettendoci la faccia, senza interposta persona e senza chiedere il permesso, con i camici sudati e senza galloni, presi in prestito da chi è stato costretto a emigrare altrove, con i guanti alle mani e le frustrazioni dell’ultimo risultato, che ancora non c’è. Gli studiosi italiani del cuore pubblicamente rinnoveranno amore a chi ha il cuore stanco o da solo non riesce a governarlo, a coloro cui dedicano la loro vita, ogni giorno, come tanti operosi missionari senza nome.

Il cuore è al centro del nostro torace, delle statistiche (il tasso di mortalità per malattie cardiovascolari  in Europa è di 383 morti ogni 100.000 abitanti), della Bibbia (la parola cuore è utilizzata per ben 876 volte) e della serata finale del 67esimo Festival di Sanremo. Inoltre, il cuore è al centro del marketing emozionale, perché l’emozione porta all’azione (dicono gli esperti), e di numerose campagne per la raccolta di fondi, che non evitano ai ricercatori italiani (solo 4 su 1000 lavoratori secondo Eurostat) il precariato o la chiusura dei laboratori.

Nonostante il cuore sia così popolare e trasversale, la sua difesa rischia di essere indebolita, dimenticata sotto la polvere di mille interessi stratificati, secolarizzata dai tentativi della moda di turno di farla riflettere su inefficaci specchietti per le allodole, minacciata dal silenzio di un sipario buio che i cardioscienziati italiani non vogliono scenda mai. Troppo importante per non dire, insieme alla Società Italiana di Ricerche Cardiovascolari: “Ti ho a cuore!”.