Quando si parla di demenza, ci si riferisce ad una compromissione globale delle funzioni cosiddette corticali e nervose superiori. È una sindrome clinica caratterizzata dalla perdita progressiva delle funzioni cognitive di entità tale da interferire con le usuali attività sociali e lavorative dell’individuo.
È caratterizzata da una progressiva perdita della capacità di far fronte alle richieste della vita di ogni giorno per giungere ad una totale perdita di comportamento sociale adeguato alle circostanze. Oltre ai disturbi cognitivi (di memoria, linguaggio, orientamento) sono presenti anche sintomi non cognitivi che riguardano la sfera della personalità, l’affettività e il comportamento.
Sulla base di queste premesse è sempre maggiore l’interesse nello studio dell’effetto delle relazioni interpersonali sull’insorgenza di alcuni tipi di patologie. In particolare alcuni studi longitudinali hanno dimostrato che l’estensione dei contatti sociali si comporta da scudo contro insorgenza di diverse patologie ed è associata ad un minore rischio di sviluppare demenza. Da qualche tempo quindi la letteratura neuroscientifica si è posta, tra gli altri, l’obiettivo di capire le relazioni tra il comportamento sociale e le alterazioni cerebrali per individuarne una possibile cura o trattamento.
In particolare, un recente studio ha evidenziato come già l’invecchiamento fisiologico possa alterare il comportamento delle reti cerebrali inducendo una maggiore segregazione neuronale all’interno del cervello più anziano. Questa progressiva perdita di integrazione cerebrale si riscontra ancora più evidente nei soggetti con demenza di Alzheimer. Sembrerebbe come se il comportamento sociale delle persone anziane e ancor più in quelle con patologie neurodegenerative avesse un corrispettivo nel comportamento dei network cerebrali.
Contrastare l’emarginazione sociale legata alla malattia potrebbe quindi non solo rappresentare una possibilità di cura ma soprattutto, una possibilità di contrastare e ritardare l’insorgere stesso della patologia. Quale momento migliore quindi se non quello dell’arrivo della primavera per cercare di sollecitare le relazioni e l’integrazione sociale, sperando che questo possa in qualche maniera rallentare se non addirittura ridurre la segregazione cerebrale a cui il nostro cervello va incontro con l’invecchiamento e la conseguente perdita di relazioni sociali?
Concentrandosi magari nelle persone con fragilità come quelle con un deterioramento cognitivo lieve (MCI), considerato spesso uno stadio di pre-demenza, e prestando particolare attenzione alla qualità e alla reciprocità delle reti sociali dei pazienti e la progettazione di strategie di prevenzione mirate al miglioramento della qualità di queste ultime potrebbe essere di grande aiuto per la popolazione ed il singolo individuo.