Il cancro al seno per alcune donne continua ad essere un incubo con cui venire a patti, anche se negli ultimi anni abbiamo assistito a significativi passi in avanti sia sul fronte delle terapie - è aumentata di fatto la guaribilità - che della conoscenza dell’origine e i meccanismi di sviluppo della malattia.
In particolare le tecniche di screening genetico hanno permesso di individuare con una certa precisione le donne che maggiormente sono a rischio di incorrere nella malattia. Conoscerla in anticipo è un grandissimo vantaggio sulla malattia, è comprensibile tuttavia che la coscienza del rischio che la malattia possa arrivare e colpire in maniera e potenzialmente letale, spinga alla ricerca di soluzioni radicali che possano in qualche modo cercare di ridurre al minimo la probabilità di dover fare i conti con questa minaccia.
Questa consapevolezza ha spinto molte di loro a scegliere un approccio preventivo davvero molto radicale, quello della mastectomia bilaterale, ovvero l’asportazione di entrambe i seni. La celebre attrice Angelina Jolie, è solo la più famosa tra le donne che lo hanno scelto. Fino ad oggi non è tuttavia chiaro se questo tipo di approccio preventivo abbia o no dei vantaggi oggettivi per le donne che lo hanno scelto. Sempre più ci si orienta a una valutazione personalizzata.
Lo studio pubblicato su Lancet Oncology chiarisce alcuni di questi aspetti e conferma che le giovani pazienti con carcinoma mammario e mutazione BRCA1 o BRCA2 non hanno una prognosi diversa a dieci anni dall’intervento rispetto alle loro coetanee con la stessa malattia, ma non portatrici di mutazione, indipendentemente dal tipo di chirurgia a cui si sono sottoposte.
La conclusione è quindi che non è indispensabile effettuare la mastectomia bilaterale come primo approccio. Il tema della mastectomia bilaterale, che è sia curativa sia preventiva, è un argomento complesso e deve essere valutato caso per caso.
Un atteggiamento corretto, se fattibile, può essere quello di effettuare la chirurgia conservativa, concentrarsi poi sulla terapia adiuvante (che spesso comprende chemioterapia) e rimandare la decisione al termine del trattamento chemioterapico, avendo così anche il tempo di eseguire l’approfondimento del rischio genetico.
Importante però è non decidere di fare la mastectomia dopo l’eventuale radioterapia, perché in questo caso la ricostruzione sarà più complessa ed il risultato estetico potrebbe essere peggiore.
Paolo Veronesi