Nel giugno scorso la Commissione Europea ha autorizzato la commercializzazione di
Strimvelis è la prima terapia genica curativa per i bambini a ricevere l’approvazione regolatoria nel mondo ed è indicata per il trattamento di pazienti con ADA-SCID per i quali non è disponibile un donatore compatibile in base al sistema HLA (human leukocyte antigen) per il trapianto di cellule staminali. In Europa si stima che l’ADA-SCID colpisca ogni anno 15 bambini e, grazie all’approvazione ottenuta, tutti i malati per i quali è indicato il trattamento potranno ricevere la terapia genica presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano.
Fin qui la premessa. Ora, a seguito della registrazione della terapia genica Strimvelis per la rara immunodeficienza congenita Ada-Scid, la rivista EMBO Molecular Medicine ha invitato la Fondazione Telethon a illustrare il proprio modello operativo tramite l’analisi dei principali passi che hanno portato a questo risultato.
L’interesse della rivista è stato motivato dal fatto che, sebbene non sia ormai così raro che farmaci e terapie siano sviluppati tramite collaborazioni tra accademia e industria, è abbastanza inusuale che in questo processo sia coinvolta direttamente, e con un ruolo centrale, una charity che agisce su mandato di una comunità di pazienti.
Il titolo dell’articolo, scritto da Lucia Monaco e Lucia Faccio, rispettivamente direttore scientifico e responsabile dello sviluppo della ricerca per la fondazione, comprende le parole chiave da cui si potrebbe partire per esplorare l’intero universo Telethon.
Patient-driven search for rare disease therapies: the Fondazione Telethon success story and the strategy leading to Strimvelis.
Potremmo tradurlo così.
"La ricerca di terapie per le malattie rare svolta su mandato dei pazienti: la storia di successo di Fondazione Telethon e la strategia che ha prodotto Strimvelis".
In realtà l'espressione “patient-driven” racchiude molteplici sfumature che aprono ad altrettanti spunti di riflessione ed è, a mio avviso, il cuore di questo articolo, dell’identità di Telethon e, probabilmente, della quasi totalità delle “storie di successo” che riguardano le malattie rare. La ricerca patient-driven è la ricerca voluta, ispirata promossa, richiesta - e, a volte, anche pretesa con comprensibile frustrazione - sostenuta, guidata, attesa, seguita e vigilata dalla comunità dei pazienti.
Parliamo di una storia di successo perché a tutte quelle declinazioni dell’espressione patient-driven, che si riferiscono a una aspettativa proiettata nel futuro, è stata data una risposta concreta: una terapia efficace e accessibile.
Tra la volontà dei pazienti e la terapia c’è la charity e la strategia che ha dato origine a tanti risultati piccoli o grandi. Tutti passi che, uno dopo l’altro, hanno portato allo sviluppo di un prodotto tangibile: in questo caso, Strimvelis. Ma sarebbe possibile evidenziare la stessa linea strategica, magari realizzata con azioni specifiche diverse, nella storia, attualmente in corso, che riguarda lo sviluppo delle altre terapie a cui stiamo lavorando.
Nell’articolo si descrive in dettaglio il metodo tramite il quale si passa dagli obiettivi ai fatti. Si parla, ad esempio, delle azioni concrete messe in campo per far sì che, oltre al requisito di eccellenza, ogni progetto finanziato risponda al mandato dei pazienti. Questo si realizza cercando di incentivare gli scienziati affinché indirizzino la propria ricerca, che rimane produzione indipendente della loro creatività, verso un possibile impatto benefico per le persone colpite dalla malattia che stanno studiando. E questo vale anche per la ricerca di base, indispensabile per avviare un qualsiasi percorso applicativo, che può essere orientata in modo significativo verso un futuro sviluppo.
Il tema dello sviluppo dei risultati della ricerca è affrontato analizzando l’intero percorso che ha portato a Strimvelis: dalla messa a punto di una strategia terapeutica per Ada-Scid, al dialogo con le agenzie regolatorie per predisporre l’avvio di uno studio clinico, alla ricerca di un partner industriale interessato a farsi carico della produzione su larga scala e messa in disponibilità della terapia, alla costruzione e gestione dell’alleanza con una grande azienda farmaceutica.
Ogni decisione, ogni regola, ogni pezzettino del processo di selezione e sviluppo della ricerca può essere sempre riconducibile alla strategia complessiva e quindi, in ultima analisi, alla volontà e alle aspettative dei pazienti.
Il termine “mandato” è corretto, ma anche riduttivo perché potrebbe far pensare a un patto che si conclude con una stretta di mano e poi ognuno prosegue per la propria strada. Certamente non è così e non è mai stato così nel corso di questi ventisette anni.
La voce della comunità dei pazienti si esprime in fasi chiave del percorso tramite la partecipazione, insieme a membri della comunità scientifica, a organi di indirizzo che valutano periodicamente i programmi di ricerca della fondazione e forniscono consigli di natura strategica. Il dialogo con i pazienti è sempre aperto per l’ascolto dei bisogni a cui la ricerca non è ancora riuscita a dare una risposta - purtroppo sono tuttora molti - e per la costante rendicontazione del nostro lavoro e dei nostri risultati.
Ma c’è in particolare un momento nel quale, almeno nella mia personale esperienza, avverto al mio fianco la presenza ideale ma, estremamente forte ed efficace, di tutta la comunità dei pazienti ed è quando, all’avvio di ogni incontro con un potenziale partner industriale, dichiaro il principio fondamentale che è alla base di tutti gli accordi stipulati dalla Fondazione e rispetto al quale non ci sarà mai possibile recedere: l’obbligo per l’industria di sviluppare la nostra ricerca fino alla messa in disponibilità della terapia per i pazienti, pena la restituzione alla Fondazione di ogni diritto di sfruttamento.