Ieri sono accaduti tre fatti, gravi, con un’unica morale. Il primo riguarda Uber, il servizio di noleggio auto con conducente tramite app alternativo ai taxi. Si è scoperto che un anno fa sono stati trafugati i dati di 57 milioni di utenti in tutto il mondo, e che la società ha pagato un modesto riscatto (100 mila dollari, nulla rispetto ai guadagni di Uber) a non meglio precisati hacker affinché li distruggessero senza avvisare nessuno. La seconda notizia riguarda Apple: si è scoperto che nella famosa fabbrica cinese dove si assemblano moltissimi prodotti della società californiana, la Foxconn di Shenzen, per rispettare le scadenze sulla consegna dei nuovissimi iPhone X, sono stati fatti lavorare studenti minorenni fino a 11 ore al giorno. La terza notizia riguarda Google: si è scoperto che per chi ha uno smartphone con il sistema operativo di Google, che si chiama Android, ed è nettamente il più diffuso del mondo, non è sufficiente disabilitare i servizi di localizzazione, perché il telefonino finora ha trasmesso lo stesso la nostra posizione a Google.
Naturalmente sono arrivate delle giustificazioni. Uber ha spiegato che tra i dati trafugati non ci sono le carte di credito e che i responsabili di quel pasticcio sono stati licenziati; Apple ha ammesso che dei minorennni hanno lavorato undici ore al giorno, ma volontariamente, mica sono schiavi! E Google ha detto che quei dati sulla localizzazione degli utenti sono stati raccolti per migliorare i servizi di messaggistica, non è chiaro come, ma comunque non saranno più raccolti (mi chiedo perché, se lo scopo era buono).
Queste tre notizie sono molto diverse eppure hanno un tratto comune. E quel tratto è l’arroganza. Si fa un gran parlare dell’innovazione “disruptive”, quella che distrugge gli schemi esistenti e apre le porte al futuro. La vera innovazione è sempre scomoda per alcuni, fa saltare vecchi privilegi ma anche consolidate certezze. Quando è arrivato Google ha mandato in crisi Yahoo! e gli altri motori di ricerca; quando è arrivato l’iPhone, due colossi come Nokia e BlackBerry sono finiti sul baratro; quando è arrivata Uber, i tassisti di tutto il mondo sono scesi in piazza a protestare ma intanto hanno dovuto sbrigarsi a innovare il servizio per non essere sbattuti fuori dal mercato. L’innovazione è così. Distruttiva, a fin di bene, Ma c’è una cosa che nessun innovatore dovrebbe mai distruggere: l’etica. Detto in un altro modo: il rispetto delle persone. E invece in queste tre storie - ma ne capitano ogni giorno ormai dalle parte della Silicon Valley - emerge un tratto di furbizia per cui nel nome del profitto tutto è concesso. Anche no, grazie.