Non è stata la fine del mondo. E non è stata neanche la fine di Twitter. Ma nemmeno la sua salvezza se è per questo. Eppure sarebbe ingiusto affermare che la decisione di raddoppiare il numero massimo di caratteri a disposizione per ogni tweet - portandoli da 140 a 280 - non ha avuto proprio nessun effetto. Qualcosa sembra essere cambiato. Sul social network dei messaggini, quello preferito da Donald Trump per intenderci (solo la cantante Ariana Grande twitta di più del presidente degli Stati Uniti: 42 mila contro 39 mila, praticamente una eruzione), in effetti stanno cambiando un sacco di cose.
1) Stanno calando gli utenti (meno 9 milioni in tre mesi) per effetto della pulizia in corso che ha portato a disattivare i profili dei robot che twittano in automatico, i profili inattivi da troppo tempo, quelli molesti e infine quelli legati al terrorismo (questi ultimi sono stati un milione e duecentodiecimila 317 in due anni).
2) Sono arrivati i primi profitti, finalmente, soprattutto per effetto dei video sponsorizzati.
3) E complessivamente gli utenti sono più gentili (a parte Trump, ovviamente).
Quest’ultimo dato, secondo Twitter, sarebbe proprio il risultato della decisione di un anno fa di raddoppiare i caratteri a disposizione per ciascun messaggio. Il risultato sono tweet più gentili: in effetti sono aumentati i grazie, i prego, i mi dispiace, sono sparite o quasi le abbreviazioni incomprensibili, ovvero le parole scritte senza vocali; sono aumentate le domande e sono cresciute le conversazioni. Insomma, il ritorno della gentilezza sarebbe la prova che qualche carattere in più ci serviva. Questa la versione ufficiale che però è subito smentita da un altro dato: solo il 6 per cento dei messaggi inviati nell’ultimo anno ha superato il limite dei 140 caratteri. Solo il 6 per cento (Trump compreso). E questo per un motivo profondo: quel numero non nasce a caso. Infatti è la lunghezza media di gran parte dei messaggi che noi umani ci mandiamo da sempre. Deriva infatti dalla lunghezza per gli sms: che è come è noto di 160 caratteri. Si tratta del numero di caratteri che entrava in un pacchetto di dati sulla linea telefonica. Ma è anche il numero magico che il responsabile della telecom tedesca Friedhelm Hillebrand individuò - nel 1985 - con un metodo infallibile. Fece tre prove. La prima fu mettersi alla macchina da scrivere a comporre frasi a caso e poi contare le lettere. Non era molto scientifico e allora fece contare il numero di caratteri che stava nelle cartoline postali che un tempo ci inviavamo. E infine misurò la lunghezza dei messaggi inviati via telescriventi, un sistema di telecomunicazioni allora in gran voga. Il risultato fu sempre lo stesso: 160.
Twitter lo ha portato a 140 in modo bizzarro. Uno può immaginare che dietro ci sia stato chissà quale algoritmo. E invece avvenne per caso. All’inizio infatti anche per Twitter i messaggi avrebbero dovuto essere di 160 caratteri meno quelli necessari per scrivere il proprio nome: ma uno dei due fondatori si chiamava Biz (Stone), il secondo Jack (Dorsey), e così il primo notò che così aveva a disposizione un carattere in più del socio per esprimersi. Per non parlare del terzo socio fondatore che si chiamava Ev (Williams). Ai primi due questa disparità dovette sembrare una ingiustizia inaccettabile. E si accordarono per fare 140, nome escluso, uguale per tutti.
Ancora funziona.