Fanno più notizia le polemiche che i progetti. E quindi siamo tutti concentrati a seguire le disavventure della sindaca di Roma Virginia Raggi, mentre la sua collega di Torino Chiara Appendino annuncia senza tanta enfasi una cosa che non ha il solito sapore amaro del rapido declino in cui siamo immersi ogni giorno, ma quello vagamente eccitante del futuro che avanza nonostante tutto. Insomma, in un post sul blog di Beppe Grillo, la Appendino annuncia una città senza auto private. Dove si supererà "il concetto di possesso esclusivo di automobile", per andare verso la condivisione dell’auto.
Una cosa già sentita tante volte, ma stavolta fa più scalpore perché Torino è stata “la città dell’automobile”: lo stesso termine FIAT voleva dire Fabbrica Italiana Automobili Torino. Il mondo è cambiato certo, e anche Torino è cambiata. Oggi la Fiat è un marchio di FCA del gruppo Fiat Chrysler, che ha il suo cuore a Detroit e la sede fra l’Olanda e Londra; lo storico Lingotto non è più una fabbrica ma un centro congressi dove si tiene ogni anno un affollatissimo salone del Libro (e dove il PD ogni tanto va a ritrovar se stesso); Mirafiori, che era il più grande complesso industriale italiano (nonché la più antica fabbrica automobilistica d’Europa), attualmente produce solo un paio modelli, una Alfa Romeo e una Maserati. Insomma, l’automobile a Torino è in parte un grande passato dietro le spalle più che un promettente futuro (come dimostra l’avvincente Museo dell’automobile, il MAUTO; fondato addirittura nel 1933 ma che oggi si può visitare anche con Google View dal computer di casa).
In una città così parlare di mobilità del futuro ha un senso: si scopre così che Torino partecipa a una sperimentazione con fondi europei assieme a Berlino, Manchester e Goteborg. L’idea, ha spiegato la Appendino, è che qualunque spostamento in città si possa fare con una app che integri il trasporto pubblico e privato con un abbonamento tutto compreso, come succede con i telefonini che non ci fanno più pagare la singola telefonata. La tecnologia già c’è, grazie ad una startup, URBI, che ha già dimostrato sul campo che questa visione si può realizzare. E’ un esperimento da seguire con attenzione a prescindere dalla solite divisioni politiche, anche tifando perché vada a buon fine.