In questi giorni accanto al teatro Ariston di Sanremo c’è un grande igloo bianco dove si proverà a capire il futuro della musica. Si chiama Casa SIAE ma non fermatevi al nome. Se c’è un settore che è stato letteralmente stravolto dalla tecnologia e dalla rivoluzione digitale, questo è la musica. In venti anni è cambiato tutto: dal vinile, alla cassette, ai cd si è passati allo streaming, la musica grazie a Internet si è dematerializzata, è ovunque (anche se i vinili sono tornati di moda e ora pare pure le cassette). Molte aziende hanno chiuso i battenti per fare posto a nuove realtà come Spotify o Shazam e chi ha resistito lo ha fatto perché ha saputo trasformarsi completamente.
Il caso di SIAE è interessante. Perché in un certo senso sta provando a diventare una startup con 136 anni di storia. È la società che gestisce i proventi degli autori e degli editori, viene da un altro mondo, l’Italia era nata da 21 anni appena quando in un palazzo milanese un gruppo di artisti e intellettuali si riunì per fondarla. Era il 1882. Viene da un altro mondo e poteva restarci come un fossile. Quando con il digitale la musica è cambiata, infatti, la Siae è rimasta immobile con i suoi fax e i borderò di carta. Ed è spuntata una alternativa: si chiama Soundreef, l’ha fondata uno startupper intraprendente, Davide D’Atri, che ha sfidato il vecchio gigante mettendo in campo un modello digitale, leggero, efficiente.
La SIAE si è difesa innanzitutto con avvocati e politica per bloccare lo sfidante. Un vecchio schema. Ma nel frattempo è cambiata. Al vertice è arrivato un giovane, Filippo Sugar, terza generazione di una famiglia che in Italia ha fatto la storia della musica e che della SIAE nel 2010 diceva: basta, è burocratica e clientelare! Nel 2015 ne è diventato presidente e l’ha rigenerata. O almeno ci sta provando. I dati sono incoraggianti: record di nuove adesioni, più 11mila 215 nel 2017 (di cui il 51 per cento online), record di ricavi a fronte di un calo delle tariffe, crescita record nel settore digitale, 120 assunti sotto i 30 anni.
È un meccanismo che abbiamo visto in altri settori, come quello dei taxi, pensate a quanto i tassisti hanno migliorato il servizio dopo l’arrivo di Uber. Intendiamoci anche Soundreef va bene, anzi benissimo. È una bella sfida in un settore chiave, quello che consente ad artisti ed autori di essere remunerati. Vinca il migliore, ci guadagneremo tutti.