Google ha appena tagliato il traguardo dei 100 mila dipendenti. Sono 103 mila 549 per la precisione. Un anno fa erano 85 mila e 50. Vuol dire che in media la società di Mountain View negli ultimi dodici mesi ha assunto 50 persone al giorno ogni giorno. In prevalenza specialisti in cloud computing, intelligenza artificiale e auto che si guidano da sole. Per capire dove è finito il lavoro perduto questi dati ci dicono già molto ma in fondo niente di davvero nuovo. Più interessante è capire dove sono finiti i diritti dei lavoratori in questo nuovo mondo luccicante e patinato creato dalle grandi aziende della Silicon Valley.
Domani, primo maggio, un gruppo di dipendenti di Google ha indetto una giornata di protesta contro le rappresaglie. Si riferiscono a quello che sarebbe accaduto ai promotori della clamorosa marcia di sei mesi fa quando ventimila dipendenti di Google in cinquanta sedi del mondo, scesero in strada per manifestare il loro dissenso per il modo in cui l’azienda aveva chiuso alcuni casi di molestie sessuali. Era accaduto che in particolare Andy Rubin, inventore di Android, il sistema operativo di quasi tutti i telefonini, insomma un genio, era stato accusato di molestie sessuali pesanti. Non accuse generiche, ma circostanziate, provate. E invece di licenziarlo e basta, Google gli aveva data una buona uscita di 90 milioni di dollari. Nel 2014.
Quando la vicenda è venuta fuori, in pieno clima MeToo, molti si sono scandalizzati. Di qui la marcia del 1 novembre, Google Walk Out for Real Change, che partiva da questo concetto: siamo sempre stati una azienda all’avanguardia e se non iniziamo noi a cambiare le cose non lo farà nessuno. L’amministratore delegato, il mite Sundar Pichai, disse: incontrerò i promotori della protesta. Sembrava una fiaba ma non a lieto fine. Meredith Whittaker, che guidava un importante progetto di ricerca sull’Intelligenza artificiale e l’etica, è stata rimossa dall’incarico; e lo stesso Claire Stapleton, che per 12 anni era stata nell’ufficio marketing di YouTube e che negli ultimi cinque era stata premiata per i risultati ottenuti. “Mettiti in malattia” le avrebbero intimato. “È una rappresaglia per aver parlato chiaro” hanno sostenuto le due donne in un memo inviato a tutti i dipendenti e pubblicato da Wired.
Se è questo il futuro del lavoro, va detto che assomiglia al passato. Ai padroni delle ferriere.