Cosa ha detto il premier Conte su Internet e digitale

Rispetto alle omissioni e ad alcune stravaganze del "Contratto", questi temi sono entrati a pieno titolo nelle dichiarazioni programmatiche del presidente del Consiglio. RIbadito l'accesso a Internet per tutti (ma non si parla più di gratuità).  E poi: è in corso una trasformazione fondamentale che va governata perché non ci danneggi. Scontato, ma ora perché si passi dalle parole ai fatti sarebbe utile far rinascere il gruppo di lavoro dei parlamentari di tutti i partiti appassionati di innovazione 

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Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha appena finito di parlare al Senato, di esporre le sue dichiarazioni programmatiche. E già girano le prime sintesi che evidenziano quello che ha detto sui migranti, l’Europa, la flat tax... Il nuovo premier però ha anche parlato più volte di innovazione, di tecnologia, di digitale. Lo segnalo perché nel contratto per il governo del cambiamento che Salvini e Di Maio hanno firmato e che è alla base dell’azione del nuovo esecutivo, questi temi erano ignorati, o trattati marginalmente, o con superficialità (forse dovuta alla fretta con cui quel documento era stato redatto). Lo avevamo segnalato e oggi non possiamo astenerci dall’osservare che questi temi hanno trovato uno spazio importante nel primo discorso pubblico del nuovo capo del governo giallo- verde o blu.
Mi sono appuntato alcune delle cose che ha detto: intanto “l’accesso a Internet va garantito a tutti”; non ha detto gratuitamente, come recita il Contratto non tenendo conto dei costi di una simile affermazione; ma Internet per tutti vuol dire completare il piano banda ultralarga in corso e farlo al più presto, perché l’accesso a Internet è una precondizione per l’esercizio di molti diritti dei cittadini. La rete infatti, ha detto sempre Conte, è uno strumento fondamentale per informarsi, connettersi, ma anche di trasparenza e democrazia e di crescita economica. “La trasformazione in corso va governata”, ha detto sempre Conte, perché il risultato finale non è scontato: può finire in una società più prospera e unita, o anche nel suo contrario. Dipende da noi. Dipende da noi mettere al centro la persona umana e i suoi diritti (e non il profitto, legittimo, per carità non non centrale, delle multinazionali della Silicon Valley, aggiungo io).
Si dirà, sono solo parole e anche parole scontate visto il dibattito in corso in tutto il mondo sui limiti del digitale, sui rischi e le opportunità dell’intelligenza artificiale e sulla inarrestabile ascesa dei robot nei posti di lavoro. Parole, quindi. Ma era importante dirle, lì, al Senato, nel momento in cui il nuovo governo ha mosso il suo primo passo. Sul digitale l’Italia è indietro, molto indietro. Dobbiamo rimontare in fretta e farlo bene, senza trasformarci in un paese di fattorini di cene a domicilio o di affittacamere di Airbnb, ma anche senza alzare inutili barriere. Ora aspettiamo i fatti. Intanto, buon lavoro ricordando che questi argomenti non sono patrimonio esclusivo di nessuna forza politica, ma dovrebbero unirle tutte. Nella passata legislatura operò con successo un intergruppo parlamentare innovazione: univa parlamentari di tutte le forze politiche interessati a promuovere una agenda digitale comune. Sono così tante le “emergenze” che catturano l’attenzione dei ministri, che unirsi è l’unica strada per spingere il governo ad occuparsi davvero di digitale, trasformando i buoni auspici odierni in benefici concreti per i cittadini.

 


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