L’innovazione tecnologica dipende da tanti fattori. Ma tutti sono d’accordo sul fatto che l’università è il fulcro di un ecosistema che progetta e costruisce il futuro. Perché è il luogo principale dove si fa ricerca scientifica, anche in partnership con grandi aziende, qui nascono le startup più solide e resilienti; e soprattutto si formano i migliori studenti. Non a caso Google, Facebook, Microsoft e Apple sono state fondate da studenti universitari (il fatto poi che alcuni di loro, presi dal successo della nuova impresa, non si siano più laureati è un altro discorso). Per questo mi ha stupito il sostanziale silenzio in cui è passata in Italia l’ultima classifica delle migliori mille università del mondo.
In testa per la prima volta ci sono due storici atenei del Regno Unito, Oxford e Cambridge, ma quello che davvero colpisce è l’assenza dell’Italia, che pure vanta alcune fra le più antiche università del mondo, dal novero delle prime cento. La Germania ne ha dieci, l’Olanda sette, la Svezia tre come la Svizzera (che ne ha una fra le prime dieci però), la Francia, la Finlandia e il Belgio ne hanno una. Se poi usciamo dai confini dell’Europa troviamo l’Australia con sei, il Canada con quattro, Hong Kong con tre, la Cina, Singapore, il Giappone e la Corea del Sud con due. Per non parlare degli Stati Uniti che ne hanno 43 di cui ben sei fra le prime dieci.
Insomma si può discutere sulla veridicità di certe classifiche, ma se stessimo parlando dei Mondiali di calcio e non di quelli del sapere, non solo non saremmo qualificati per le fasi finali ma non andremmo nemmeno ai play off. Ci sarebbero le prime pagine dei giornali invase dai commenti indignati dei giornalisti più celebri, le opposizioni avrebbe rilasciato dichiarazioni di fuoco, il ministro competente sarebbe stato richiamato in parlamento a riferire su quali misure urgenti intende adottare, e in tv non si parlerebbe d’altro: della crisi dell’Italia del pallone. Ma qui si tratta soltanto del futuro del nostro paese, di come restare competitivi nella partita del sapere, e il massimo che riusciamo a fare è accapigliarci sul numero chiuso per entrare in atenei che sono purtroppo lontanissimi dall’eccellenza.