Il 9 febbraio 2009 su Facebook è comparso per la prima volta il pulsante like e Internet è cambiata per sempre. Come spesso accade nell’innovazione, nessuno aveva previsto quello che sarebbe diventato: ovvero lo strumento per profilarci meglio agli inserzionisti pubblicitari e una trappola psicologica che ci rende dipendenti, come i protagonisti di un videogioco rispetto al punteggio.
Solo che quel videogioco è la nostra vita. Come è potuto succedere? Ci sono diverse versioni su chi abbia davvero avuto l’idea di farci a esprimere il gradimento su qualunque cosa con un semplice clic. La più accreditata dice che sia stato Justin Rosenstein, che allora aveva 26 anni, aveva mollato un master a Stanford per andare a Google e dopo aveva lasciato anche Google per diventare responsabile dei prodotti in questa nuova società che Mark Zuckerberg aveva da poco fondato a Menlo Park e che ai tempi aveva solo 100 milioni di utenti. Altri dicono che sia stata Leah Pearlman che allora aveva 23 anni e una laurea in matematica, e dopo due anni a Microsoft aveva scelto Facebook perché lì sembrava tutto così eccitante, era magico.
Secondo Leah all’inizio il team di Facebook voleva solo risolvere un problema estetico: la ridondanza di commenti identici era brutta; e poi rendeva difficile trovare quelli interessanti. L’obiettivo era creare un unico bottone per esprimere un generico apprezzamento. Qualcuno propose una bomba. Non passò. Leah rilanciò con la scritta “awesome, fantastico”. Il team si mise al lavoro e secondo Leah fu Zuckerberg in persona a dire che la soluzione era un pollice alzato con la scritta like. Tipo imperatore romano al Colosseo.
Geniale? In realtà c’era già un social network ai tempi piuttosto usato che aveva il tasto like, si chiamava FriendFeed, e qualche mese dopo Facebook se lo sarebbe comprato per poco meno di 50 milioni di dollari. Dietro la svolta che ha trasformato Internet nel Colosseo ci sarebbe un plagio, insomma. Sono passati dieci anni, e il tasto like è ormai ovunque, non solo su Facebook ma su tutte le piattaforme social del mondo, comprese quelle russe e cinesi. Segno che funziona: lo usiamo e ci lasciamo usare.
Nel frattempo Rosenstein che aveva lasciato Facebook prima del varo del like con in tasca 730 milioni di dollari in azioni, ha fondato una startup new age di discreto successo che prova a reinventare il modo di lavorare secondo principi dello yoga, usa lo smartphone con lo schermo in bianco e nero e si è escluso da tutti quasi tutti i social. Anche Leah Pearlman ha subito lasciato Facebook ed è diventata famosa per le sue strisce a fumetti ispirate al buddismo e all’amore universale; spera che presto tra i social arrivi qualcosa di più interessante e che questo uso di Internet basato sulla ricerca del consenso degli altri possa sparire. Nel frattempo dice che dovremmo provare a fregarcene dei like.