Cos’è che ci rende davvero umani, cioé diversi dai robot? Tantissime cose per fortuna. Ma nel giorno dedicato al pesce d’aprile qualcuno ha notato che una di queste cose è l’umorismo. Avete mai provato a chiedere a Siri, o a Google o ad Alexa una barzelletta? Gli assistenti vocali ne conoscono a bizzeffe. Mio figlio ci si diverte parecchio. Avete provato a dirne voi una al vostro assistente vocale? Non fatelo, non la capirebbe.
Nel dibattito sulle potenzialità infinite e i limiti imbarazzanti dell’intelligenza artificiale, sta emergendo che in questo territorio così importante per la nostra qualità della vita le macchine pensanti non riescono ancora ad entrare. Gli accademici si stanno appassionando al tema: un anno fa una giovane informatica dell’università dell’Oregon, Heather Knight, ha presentato un robot che dovrebbe fare stand up comedy, un genere molto di moda dove il protagonista in piedi da solo inanella battute, ma nel video su YouTube, Ginger, a parte mettersi in piedi a fatica non è che faccia davvero ridere. In ogni caso a giugno negli Stati Uniti è previsto un simposio sul tema “Humour e Artificial Intelligence” nel quale ne sapremo di più.
Quel che appare certo è questo: non è che i robot non possano dire una barzelletta, se gliele carichi in memoria, possono recitare l’intero campionario di barzellette del mondo. Ma non le capiscono. Non hanno quel senso squisitamente umano che prende il nome di senso dell’umorismo e che richiede di tenere conto della storia, del contesto, del momento, del tono giusto per scatenare una risata o almeno un sorriso. L’intelligenza artificiale questa cosa non sa cosa sia. Non è una lacuna da poco, se l’obiettivo è creare macchine pensanti in grado di imitare il cervello umano, secondo una autorevole definizione.
Per esempio uno dei prodotti migliori in circolazione, il Project Debater di IBM, che è stato attrezzato per vincere dibattiti pubblici su qualunque argomento, inizialmente è stato addestrato anche con il senso dell’umorismo. L’idea è che un dibattito si vinca, non solo con solidi argomenti, ma anche con una battuta fatta al momento giusto. Ma l’esperimento non è andato benissimo, perché Project Debater le battute le faceva ma sbagliando il tempo, o i modi, e quindi ottenendo l’effetto contrario. I ricercatori di IBM però non si sono arresi e adesso il loro “campione” è stato istruito per poter fare al massimo una sola battuta per dibattito e sempre autoironica, che è più facile, così non si offende nessuno.
Il motivo di questa defaillance è semplice: i computer ragionano (benissimo) per schemi, le risate si scatenano quando gli schemi si superano in modo buffo, che è qualcosa di difficile da definire. Una torta in faccia è buffa? Dipende. Uno che inciampa è buffo? Non sempre. Una ricercatrice di una università americana, che studia il tema da 15 anni, a un certo punto ha chiesto ad un computer di dividere un gruppo di frasi in due categorie, quelle buffe e quelle no e il risultato è stato quello sì, buffissimo, ma il computer non l’ha capito lo stesso. Non è detto che sia un male.