In difesa della maestra del coro delle voci bianche del San Carlo
Quattro giorni a Napoli a parlare di innovazione e trasformazione digitale della pubblica amministrazione. Tema che ci vede ultimissimi in Europa. E cosa fa notizia? Un inno sbagliato. E allora anch'io chiedo alcune dimissioni

Sono state bellissime queste quattro giornate di Napoli dedicate al digitale, l’hackathon con oltre trecento ragazzi provenienti da ventisei Paesi, e poi l’evento con alcuni tenaci campioni della nostra malconcia pubblica amministrazione, e infine il simposio nel più antico teatro lirico del mondo, il San Carlo. Pensate per un istante alla magia che si scatena quando in un luogo che ha visto tre secoli di storia sei lì a parlare di futuro con il giovane e appassionato re di Spagna, con il simpaticissimo presidente del Portogallo e con il nostro Mattarella che ci ha convinto che in fondo anche Leonardo da Vinci cinquecento anni fa aveva già una mente digitale.
Quattro giornate indimenticabili ma che non saranno dimenticate solo per una gaffe. Alle 12 in punto i capi di Stato hanno fatto il loro ingresso nel palco reale. Nella buca sotto il palco l’orchestra dei giovani di Rione Sanità ha attaccato gli inni. Si chiama Sanitansemble, è nata undici anni fa per offrire una alternativa alle armi in un quartiere difficile: l’idea era insomma “meglio un violino di una pistola”, è un progetto meraviglioso, di cui andare fieri.
Insomma l’orchestra, diretta dal maestro Paolo Acunzo, che dal 2009 porta questi ragazzi sulla via della musica, ha attaccato i quattro inni, prima quello europeo, poi Spagna Portogallo e Italia. Sul palco il coro delle voci bianche del San Carlo, centotre meravigliosi bambini con la camicia bianca e gli occhi brillanti di emozione, ha iniziato a cantarli. Senza sapere che quello spagnolo è un inno muto, senza parole, perché il testo, scritto alla vigilia della guerra civile, è legato alla dittatura di Francisco Franco.

Una gaffe imbarazzante, per la quale il re si è risentito e il nostro presidente si è subito scusato. Fine? No, è partita la caccia al colpevole. La richiesta di dimissioni. Alla quale mi associo. Anche io vorrei delle dimissioni dopo quello che ho visto al simposio Cotec (la sigla delle fondazioni che nei tre paesi si occupano di innovazione tecnologica).
Ma non mi riferisco all’inno sbagliato, che pure sembra essere l’unica cosa che interessa i miei colleghi. Mi riferisco allo stato pietoso del digitale in Italia rispetto a Spagna e Portogallo, a quella pagella, mostrata al San Carlo dal direttore generale della Commissione Europea Roberto Viola, per cui la Spagna, che partiva come noi, oggi vola; il Portogallo è in media con gli altri paesi EU; e noi siamo in fondo, ma proprio in fondo, staccatissimi. Per questo oggi vorrei delle dimissioni. Ma del ministro della Trasformazione Digitale. E del direttore dell’Agenzia per l’Italia digitale. E del Commissario per l’attuazione dell’Agenda digitale. E le scuse solenni di quelli che c’erano prima. E dell’azienda che in questi anni ha impedito la diffusione della fibra ottica perché altrimenti la sua vecchia rete di rame avrebbe perso valore; e di quell’altra che nonostante il canone e il servizio pubblico se ne ne infischia di fare formazione in tv a quelli che non conoscono il digitale; e di quelle che, nel nome di San Fatturato, hanno venduto alla pubblica amministrazione costosissimi e spesso inutili datacenter e server.
Di tutti costoro vorrei le dimissioni oggi. Non della maestra del coro delle voci bianche del San Carlo che ha commesso la colpa, grave, di aver preso da Internet (con superficialità, senza controllare) il testo dell’inno spagnolo visto che chi doveva trasmetterglielo si era dimenticato di farlo e chi avrebbe dovuto controllare dormiva. Licenziarla, come qualcuno ha chiesto, questo sì sarebbe un provvedimento degno del dittatore Francisco Franco.
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