Il 2 aprile chiudono la loro vita digitale Inbox e Google Plus. Li piangono i pochissimi che ancora li utilizzavano. Inbox, che è durato quattro anni, non è mai stata davvero una alternativa a Gmail. Mentre Google Plus è un relitto di quando, nel 2011, a Mountain View speravamo di poter davvero costruire un social network alternativo a Facebook basandosi sul fumoso concetto di cerchie. È andata male, capita. Nel rutilante mondo dell’innovazione digitale, dove il fallimento non è considerato una colpa ma un tentativo da sfoggiare nel curriculum, funziona così: ci provi e, se va male, chiudi e riparti.
Ma dove finiscono i prodotti quando vengono chiusi? Ci sono vari cimiteri sul web, Google ne ha addirittura due tutti per sé. Visitarli è la prova inequivocabile di quanti tentativi vengano fatti prima di azzeccare qualcosa che davvero conquisti il mercato. Il primo si chiama The Google Cemetery, è stato realizzato da uno sviluppatore di nome Naeem Mur, ed è un sito piuttosto elegante che elenca 65 prodotti che sono stati cancellati dal 2006 ad oggi; per ogni prodotto è annotato “perché sono morti”, il motivo del fallimento. Che in qualche caso è una modifica del progetto originale.
Per esempio il progetto del telefonino modulare, Ara, venne sospeso nel 2016 per concentrarsi sullo sviluppo di modelli con la Motorola; mentre il servizio audio di Chromecast è stato chiuso con il lancio dell’assistente vocale Google Home.
Se 65 prodotti cancellati vi sembrano tanti, tenete conto che da qualche settimana c’è un altro sito, chiamato brutalmente Killed by Google, che tra app, servizi e hardware ne prende in considerazione ben 150, compresi due morti futuri: Fabric, piattaforma che serviva agli sviluppatori a fare app migliori, chiude a giugno; mentre Fusion Tables, che da dieci anni consente di visualizzare i dati in grafici brillanti, si spegnerà a dicembre.
Visitare questi due cimiteri digitali di piccoli e grandi fallimenti (sì, ci sono anche i Google Glass, ovviamente), ci aiuta a prendere con prudenza i roboanti annunci che ogni giorno vengono fatti quando parte un prodotto nuovo che cambierà il mondo.
Ma è soprattutto un grande tributo al motore incessante dell’innovazione, quella voglia di sperimentare e ripartire che una volta fece dire a Thomas Edison che no, non aveva fallito diecimila volte prima di inventare la lampadina, piuttosto aveva scoperto i 10 mila modi in cui non funzionava.