Si avvicina la grande notte degli Oscar e gli occhi di tutti sono puntati su La-La-Land e il possibile record di statuette per il musical di Damien Chazelle che ci proietta in un mondo fatato dove tutto sembra possibile. Molto America anni ‘50. Ma se volete capire il futuro vi consiglio di seguire con attenzione il destino di Pearl. E’ un cortometraggio. Dura poco più di 5 minuti. Ed è un cartone animato. Lo firma il regista Patrick Osborne per Google che quindi ne è il produttore. Ed è il primo prodotto in realtà virtuale a ricevere una candidatura per l’Oscar. Che vuol dire che è in realtà virtuale? Che guardandolo, sulla app di YouTube, anche senza l’apposito visore, potete seguire la storia girando lo sguardo a 360 gradi, quindi andando a scoprire anche che succede intorno o davanti ai protagonisti. E’ immersivo.
Per molti aspetti Pearl è un gioiellino. Racconta la storia di un padre e di una figlia: lui è un suonatore di chitarra, un busker, suona sui marciapiedi, gira l’America ed è felice. Si svolge tutto all’interno dell’automobile che viaggia da una città all’altra, ed è molto in stile on-the-road. Beat Generation. E’ uno dei tanti cortometraggi che Google sta producendo per misurare davvero le potenzialità della realtà virtuale. E’ chiaro che un successo nella notte degli Oscar sarebbe una grande spinta a produrre film usando questa nuova tecnologia. Ricordando però quello che è accaduto qualche anno fa al 3D: sembrava la nuova frontiera e che non se ne potesse fare a meno. Bene, adesso le tv in 3D sono diventate una rarità e al cinema i film da vedere con gli occhialini colorati sono pochissimi. Perché quello che vince, alla fine, sono sempre i contenuti, la storia, la recitazione; e mai la tecnologia in sé. E bene hanno fatto i giurati dell’Academy di Hollywood a chiarire che la nomination di Pearl non ha nulla a che fare con il fatto di essere girato anche in realtà virtuale. Come dire: è un bel film, a prescindere.