Cosa ci dice l'algoritmo di Facebook che scambia la Dichiarazione di Indipendenza per un incitamento all'odio
Un paio di giorni dopo l'ennesimo post fasullo sull'allarme migranti (la foto era il pubblico di un concerto non la banchina di Tripoli), un piccolo giornale del Texas viene bloccato perché nel testo, scritto dai Padri della patria, gli indiani sono chiamati "selvaggi". Tra bufale reali e stupidità artificiale, c'è tanto lavoro da fare

Si fa un gran parlare di controlli in rete, di filtri preventivi. Di come gli algoritmi siano ormai in grado di individuare contenuti offensivi e bloccarli. Poi succede che a distanza di un paio di giorni due episodi ti svelano quanto la realtà sia distante dalla propaganda. E quanto sia complicato navigare in questo mare di notizie vere e false. Il primo episodio riguarda i migranti: una foto di una folla immensa su una banchina con il testo che dice che “queste sono le immagini che non non vogliono farci vedere” - chi? La casta? Le elite? I poteri forti? -; sarebbero, afferma l’anonimo autore, i migranti pronti a partire dal porto di Tripoli. Ma era una foto dello storico concerto dei Pink Floyd a Venezia. Chi ha postato questa scemenza avvelenata che in svariate migliaia hanno subito allegramente condiviso? Sarà sanzionato in qualche modo?
Il secondo episodio è meno noto ma non meno grave: è accaduto negli Stati Uniti e riguarda sempre Facebook. In questo caso l’algoritmo si è accorto che c’era qualcosa che non andava nel contenuto postato dal Liberty County Vindicator, un piccolo giornale online basato in Texas (curiosamente inaccessibile dall’Europa per via delle norme appena varate dalla EU sulla gestione dei dati personali, il GDPR); anzi molto più di qualcosa, quel contenuto andava contro le regole del social network perché era un incitamento all’odio; e lo ha tempestivamente rimosso. Peccato che era un brano della celebre Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d’America.
Era dal 24 giugno che il Vindicator pubblicava ogni giorno un brano della Dichiarazione scritta in gran parte da Thomas Jefferson, uno dei padri della patria. Tutto è andato liscio fino a quando si è arrivati ai paragrafi 27, 28, 29, 30 e 31. Quest’ultimo probabilmente ha destato l’allarme del raffinatissimo algoritmo di Facebook, laddove si riferisce agli Indiani d’America come “selvaggi senza pietà”. Ma che i fondatori degli Stati Uniti avessero quella visione degli indigeni è un fatto storico che non si può negare, quella frase va contestualizzata.
È come se io oggi pubblicassi il testo del nostro Inno di Mameli e venissi bloccato perchè invita allo schiavismo laddove c’è scritto che “schiava di Roma Iddio la creò”. Il post è stato rimosso immediatamente, è scoppiato un piccolo caso, Facebook si è scusata e ha ripubblicato il tutto. Ma questa è la rete oggi, un luogo dove passano bufale macroscopiche sull’allarme immigrazione e bloccano la Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti. Tra spacciatori di bufale e algoritmi ignoranti c’è davvero tanto lavoro da fare ma andrà fatto perché lo spazio dei social non è più un mondo a parte, è il nostro mondo.
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