Doveva essere la campagna elettorale del social, di Internet in tutti i modi possibili, dei live su Facebook e di Twitter senza limiti. E invece no. I live su Facebook sono praticamente morti, non solo in Italia pare. E su Twitter continua a giocare con convinzione solo il ministro Calenda che non è candidato.
La campagna elettorale del 2018 segna il grande ritorno della vecchia radio. In realtà lo strumento principale dei candidati per comunicare è stata la televisione anche se per la prima volta dal 1994 non ci sono stati i duelli tv, ormai format fisso di tutte le democrazie. Da noi no: e così anche le tante ospitate televisive dei leader assomigliavano al passato, a quelle tribune politiche in bianco e nero in cui i leader della prima repubblica rispondevano alle domande dei giornalisti ma non si confrontavano con gli avversari.
Accanto alla tv ha dominato la radio che ha sbaragliato Internet. Come Internet, la radio è efficace, immediata e facile ma è un ambiente in qualche modo protetto, controllato. In fondo basta collegare al telefono l’ospite e la sua voce entra nelle case, nei negozi e nelle auto di milioni di persone. E così dalle radio (RTL, RDS, Radio Capital, Radio 24 e naturalmente Radio Rai) sono partite le dichiarazioni che poi sono rimbalzate sui social, sui siti web, in tv e infine sui giornali di carta. In questo ritorno al passato va registrato il passo indietro di Internet come arma di costruzione di massa del consenso elettorale. Internet, che fu così così importante nell’ascesa di Obama alla Casa Bianca, e di nuovo determinante nella vittoria di Trump otto anni dopo e nel referendum sulla Brexit del Regno Unito; con i maghi o presunti tali dei big data che promettevano di poter individuare uno per uno gli indecisi tramite i profili social (per informazioni rivolgersi a Jim Messina che gestiva la campagna per il sì al referendum costituzionale del 2017).
Ma il mito della rete come strumento di campagna elettorale è crollato quando si è scoperto che è anche terreno privilegiato per le scorribande dei fabbricatori di notizie false, magari al soldo di potenze straniere (come nel caso della Russia per le elezioni americane).
Anche da noi la campagna elettorale era partita con una allerta massimo sul rischio di attacchi informatici devastanti e sul tema fake news. E invece per fortuna dobbiamo registrare schermaglie. Sono stati attaccati il blog di Salvini, il sito del partito democratico di Firenze con vecchi dati di Matteo Renzi, mentre la piattaforma dei 5stelle Rousseau che era stata attaccata in estate ha retto bene. Quanto alle fake news elettorali, poca roba per fortuna (qui una lista aggiornata dei casi più significativi). Influenza sul voto, zero virgola. Ma il presunto far west digitale ha cambiato le strategie. Ed è tornata a splendere la vecchia intramontabile radio.