Me la ricordo bene quella sera d’estate in Sardegna. A Cagliari, il palco dell’evento che presentavo era stato allestito a piazza Palazzo, che sta in cima a una collina, e sebbene fossimo in piena estate, era il 10 luglio 2014, il maestrale soffiava con delle raffiche così forti che faceva freddo e avevamo i capelli al vento.
Nonostante ciò, la piazza era gremita di gente venuta ad ascoltare le storie degli innovatori sardi, tanti giovani, tanti esperti di app e siti web. Poi è arrivata lei, Daniela Ducato, che oggi ha 58 anni, e ci ha ricordato che l’innovazione, quella vera, è un’altra cosa. Insomma, puoi anche diventare ricco sviluppando una app dove giochi a distruggere caramelle colorate o cose simili, ma se vuoi davvero cambiare il mondo la strada è un’altra.
Qualche giorno fa Daniela Ducato è stato insignita dalla vista Fortune del titolo di donna più innovativa d’Italia. L’ennesimo riconoscimento che va ad aggiungersi a quello di Cavaliere della Repubblica e a svariati premi internazionali.
Che fa di speciale? Trasforma i rifiuti in nuovi materiali. Una roba altamente tecnologica e molto legata a quello che avviene nella sua terra, la Sardegna. E’ partita con la lana di pecora e ne ha fatto un materiale isolante per tetti e poi una spugna per assorbire il petrolio sversato in mare; poi ha inventato nuovi materiali usando gli scarti del sughero, della canapa, le bucce di pomodoro e le vinacce. Con le alghe ha creato dei tessuti.
Può sembrare folklore pauperista, ma è scienza che si ispira alla vita. Dalle sue intuizioni sono nate più di 70 aziende, la metà in Sardegna, dove tutto è iniziato: precisamente a Guspini, nel Medio Campidano, una zona che le statistiche indicano come la più povera d’Italia e dove un giorno di tanti anni fa decise che questa era la sua strada. Era successo che il cemento stava facendo sparire le farfalle e così lei si mise ad allevarle; mentre fu la tecnica per costruire i nidi dei pettirossi ad ispirare le prime invenzioni per l’edilizia.
Alla base di tutto c’è la visione di un altro modo, come si legge sul sito della sua società, la EdiZero, dove si parla di costruire tramite soluzioni e prodotti “che non contengono guerre e veleni”, che non utilizzano petrolio o derivati ma solo fonti rinnovabili, eccedenti o di recupero; che non portano via terra o cibo a nessuno; e che sono funzionali e sostenibili perché oggi la tecnologia lo rende possibile. E non farlo, aggiungo io, sarebbe questo sì un delitto contro il pianeta.
Per questo la chiama “architettura per la pace”.
Quella sera a Cagliari Daniela Ducato ci incantò. Ci invitò a puntare tutto sul coraggio, che è “una materia prima intangibile e preziosissima”; e ci ricordò che “fare le cose insieme è meglio perché è nello scambio di idee e competenze che si trovano le soluzioni”.
Ogni tanto quelli bravi e che se lo meritano ce la fanno.