C'è un numero sulle lavagnette del Pd: è un 13 ma non è una schedina. È il risultato della partita che si gioca in queste orein Sicilia. O meglio è la cifra a cui arrivò il partito alle elezioni regionali in Sicilia una domenica di 5 anni fa e da quel numeretto dipenderanno i ragionamenti che segneranno il futuro dei prossimi mesi nel centrosinistra. Dato per scontato che moldo difficilmente sarà il candidato del PD Micari a vincere le elezioni, l'attenzione di tutto il partito e anche degli altri partiti a destra e a sinistra è appuntata al risultato delle diverse liste e in particolare a quella dei Dem.
Matteo Renzi sa che se il suo partito scendesse sotto quel livello l'artiglieria dei suoi avversari dento il Pd si rivolgerebbe contro di lui, mentre se superasse quella soglia nessuno metterebbe in dubbio la sua segreteria e gli sarebbe più facile restare il candidato premier alle prossime elezioni. Perché la posta in gioco è proprio questa: divenuto ormai legge il Rosatellum, tutti fanno i conti con le nuove regole. E quindi pensano di nuovo alle coalizioni e sanno che nella legge non è previsto un leader di coalizione ma solo l'indicazione dei leader di partito. E dopo il voto si vedranno i risultati e si potranno anche scomporre e ricomporre le coalizioni.
La soglia fatidica del 13,4%
Ma tornando alla Sicilia, se il Pd supererà il 13,4% della volta precedente, il segretario avrà gioco facile a non farsi trascinare nella polemica: dopotutto ha già ricordato che il candidato è stato scelto da Andrea Orlando e non da lui, e se i dem prenderanno anche solo uno 0,5% in più nessuno potrà accusarlo della sconfitta troppo alla leggera. Se invece il Pd scenderà sotto la soglia del 2012, i capi corrente del partito hanno già le armi affilate per la battaglia. E infatti le truppe sono già schierate: dalla minoranza il ministro Orlando ha già detto che dopo il voto si discuterà di tutto, alleanze e premiership comprese, dal fortino renziano Matteo Orfini ha già messo in chiaro invece che il segretario e candidato premier è stato scelto da milioni di militanti con le primarie e non sarà il "club del consiglio dei ministri", Orlando e Franceschini in prima fila, a metterlo in discussione.
La mossa del segretario
Renzi, che è abituato ad anticipare i tempi per prendere in contropiede gli avversari, ha comunque già fatto trapelare la disponibilità non solo a far svolgere le primarie di coalizione prima del voto, ma anche a cedere ad altri la candidatura a premier. Da un lato c'è la volontà di aprire alla coalizione con chi ci sta, poiché ha capito che a destra l'accordo è in stato già avanzato, almeno nelle intenzioni. E dunque ben vengano Angelino Alfano, Pierferdinando Casini, ma anche Giuliano Pisapia che pare aver ormai dismesso i panni del federatore per assumere quelli di capo di una lista insieme ad Emma Bonino, i Verdi, i socialisti, magari la stessa Mdp se gli animi si placheranno. Dall'altro sa che essere il candidato premier e' una posizione inutile, vista la legge, e scomoda nel caso il centrosinistra non vincesse.
Rinunciando a quel ruolo, infatti, da 'semplice' segretario Pd dopo le elezioni resterà comunque il leader di uno dei partiti più votati e quindi uno dei mazzieri più potenti. Se il Pd dovesse arrivare primo, sarebbe difficile comunque non affidare a lui la guida del governo, se si dovesse arrivare a una grande coalizione sarebbe altrettanto in pole position, se perdesse senza appello gli rimarrebbe comunque la guida di un partito fatto a sua immagine e somiglianza dal quale ripartire senza veti interni. Questo il suo calcolo. Restano molte le incognite: quali saranno i partiti disposti ad allearsi con il Pd, quale sarà il ruolo di Paolo Gentiloni, quale quello del presidente della Repubblica. E soprattutto l'incognita più grande di tutte: il voto degli elettori, in Sicilia ora e in tutto il Paese in primavera.