L'unico felice è stato Silvio Berlusconi, che ha usato le parole di Jean Claude Juncker come arma per sostenere che serve un voto netto, una scelta di campo. Per il resto, l'uscita del presidente della Commissione europea ha lasciato di stucco il panorama politico e istituzionale italiano, ma forse, come capita a volte ai pasticcioni, ha avuto il pregio della trasparenza.
Juncker, noto e inveterato gaffeur, ha spiegato giovedì che a Bruxelles e nei mercati finanziari si teme che in Italia le elezioni non portino una maggioranza certa e quindi producano un governo "non operativo".
Apriti cielo! E quindi alla improvvida frase è seguita la retromarcia d'ordinanza. Ma il timore di cui ha parlato il politico lussemburghese è reale, anche se magari non sarebbe toccato a lui esplicitato e magari sarebbe anzi stato saggio da parte sua tacere.
Quel che crea paura all'estero, in effetti, è l'incertezza. Ma anche alcuni scenari non detti da Juncker per non interferire nelle elezioni italiane. Ecco dunque cosa potrebbe impensierire i mercati e le cancellerie europee.
Dopo il voto resterà in carica il governo di Paolo Gentiloni fino alla individuazione di un nuovo esecutivo sostenuto dalla maggioranza che uscirà dalle urne. Quanto durerà questa transizione dipenderà dalla facilità di trovare i voti in Parlamento. Va ricordato che Gentiloni, per dovere istituzionale, una volta insediate le Camere, si dovrà dimettere ma le sue dimissioni verranno congelate e lui resterà a palazzo Chigi "per il disbrigo degli affari correnti".
Ma il rischio, in caso di pareggio il 4 marzo, è che il governo Gentiloni duri qualche mese: se la fase di stallo durasse solo due mesi, si tratterebbe di una incertezza fisiologica; se invece perdurasse, si dovrebbe trovare il modo di dare sostanza quantomeno parlamentare alla sua durata, magari con un voto di fiducia 'tecnica', per fare in modo che il suo governo porti il Paese fino a nuove elezioni. Si tratterebbe di un governo di scopo con due o tre punti di programma: legge elettorale, manovra economica e poco altro. Pochi però sono convinti che un governo, una volta nato, possa durare solo un anno.
Per questo in realtà i principali leader stanno lavorando a un governo politico, magari anche di larghe intese, ma sostenuto esplicitamente dai gruppi parlamentari.
In realtà i mercati hanno già metabolizzato la possibilità di incertezze, e infatti l'investimento sul nostro Paese da gennaio è calato: nessuno crede a ricette miracolose e si spera almeno in un panorama di buon senso.
Quel che più preoccupa, dunque, sono altri possibili scenari. Il vero timore sarebbe se si desse vita a alleanze instabili, o spurie e composte da tutte forze anti-sistema, anche se su questo fronte, la lettura in controluce della campagna elettorale ha fatto notare ai più un ammorbidimento di toni in diverse forze rispetto ai programmi di partenza.
E soprattutto, si confida che il Capo dello Stato possa gestire il dopo elezioni avendo a mente la stabilità del Paese. Una fiducia a cui il Quirinale sa di dover corrispondere nelle prossime settimane, per cui sta preparando un iter che ha due stelle polari: da una parte l'esito delle urne, dall'altra la Costituzione.