Il Ministro dell'Interno Marco Minniti giovedì ha molto probabilmente indispettito diversi politici, anche nel suo partito, ma ha avuto il pregio di dire una cosa rara in campagna elettorale: la verità. Una sorta di riedizione della favola "il re è nudo". Il ministro dell'interno, che mastica politica da alcuni decenni, magari per ragioni non dette come spiegano alcuni retroscena, ha detto agli elettori una cosa molto semplice: se dopo il voto, come dicono i sondaggi di questa mattina, nessuno avrà la vittoria, la possibilità di dover tentare di arrivare a un governo di larghe intese è assai concreta. Sono quindi spesso retoriche e propagandistiche le dichiarazioni di tutti quelli che assicurano di non voler partecipare a questo tipo di governo.
La ragione è ovvia legittima: l'inciucio non piace agli elettori e nessuno si vuole intestare l'idea. Ma è anche ovvio che, se nessuno vincesse, una qualche forma di accordo andrebbe trovata, almeno fino a che non si possa arrivare a elezioni, cosa che difficilmente potrebbe avvenire già questa estate.
L'altra verità detta da Minniti riguarda il ruolo del capo dello Stato in questo scenario. Sergio Mattarella, se non ci fosse un vincitore certo, avrebbe ovviamente la responsabilità di individuare una maggioranza possibile per dar vita a un governo. Il suo margine di manovra sarebbe dunque ampliato. E soprattutto sarebbe ancora più forte il suo ruolo nell'esercitare quella che rimane costituzionalmente il suo dovere: incaricare il presidente del Consiglio. L'onere della scelta della persona più adatta ad aggregare voti in Parlamento a quel punto sarebbe fortemente in capo al presidente Mattarella. Se invece la maggioranza fosse netta, ovviamente i partiti avrebbero maggior peso nella indicazione del leader prescelto.
C'è poi un altro potere che esclusivamente nel capo dello Stato ed è la nomina dei ministri. La Costituzione dice chiaro e tondo che il presidente del Consiglio incaricato li propone ma è il presidente che li nomina. E questo vale anche in caso di una vittoria schiacciante di uno degli schieramenti: più volte i capi dello Stato hanno sbianchettato e riscritto parte della lista portata dai Premier al Quirinale. Molti uomini politici sono entrati da ministro nello studio alla Vetrata e ne sono usciti semplice cittadino, sia nella prima che nella seconda Repubblica.
Mattarella è persona assai rispettosa degli equilibri politici, non ha un atteggiamento interventista ma è ovvio che quando il prossimo presidente del Consiglio salirà al Quirinale, chiunque esso sia e qualunque sia la sua maggioranza, i ministeri più delicati (solitamente Esteri, Interni, Difesa ed Economia) saranno sotto la lente di ingrandimento del capo dello Stato che potrà accogliere o anche respingere le idee del nuovo premier. Questo ha ricordato Minniti ai cittadini, a se stesso e al mondo della politica; quasi a voler sottolineare che a poco valgono gli annunci prima del voto di questo o quel ministro nelle diverse caselle del governo.