Un gruppo di supporto che lavori sui temi, coinvolgendo parlamentari, membri delle commissioni e territorio, e non proposte preconfezionate da mettere al voto sula piattaforma Rousseau. Nomine territoriali scelte collegialmente e una condivisione di un percorso, sia per quanto riguarda le leggi in Parlamento sia sulla strada che deve percorrere il Movimento. L'ala movimentista dei pentastellati chiederà un confronto interno, rilanciando - riferiscono fonti parlamentari - queste proposte. Ieri non è stato possibile, visto che la riunione del gruppo della Camera è stata annullata. Ma il tema sarà sul tavolo nei prossimi giorni visto che restano i dubbi nell'ala ortodossa sull'accelerazione decisa da Di Maio nella riorganizzazione della struttura. Una riorganizzazione che non sarà calata dall'alto ma ratificata con un voto su Rousseau, ha detto Di Maio. Ma - questa la tesi di chi contesta lo schema - il confronto deve partire a monte, non serve solo un sì o no sulla piattaforma.
I dissidenti sul piede di guerra
Il capo politico M5s ha illustrato nella conferenza stampa i punti cardini del nuovo corso che prevede, tra l'altro il via al vincolo dei due mandati per i consiglieri regionali. Nessuna discussione sulla leadership, se ne parlerà tra 4 anni ha chiarito il vicepremier M5s. Tuttavia i dissidenti restano sul piede di guerra. Al momento sono due le voci 'dissonanti' che si sono fatte sentire: Paola Nugnes ("Il capo politico dovrebbe essere ancora Grillo", ha detto) ed Elena Fattori ("Secondo me Luigi - ha osservato - dovrebbe fare solo il capo politico del Movimento, che è già un grande impegno. Il resto gli ruba solamente tempo e ci sono persone altrettanto preparate che possono sostituirlo". Entrambe le senatrici rischiano il cartellino rosso, soprattutto se sul voto sul 'caso Diciotti' nell'Aula di palazzo Madama dovessero esprimersi in una direzione opposta a quella emersa dalle votazioni on line.
I vertici M5s auspicano una sorta di compromesso, ovvero che i malpancisti - non sono solo Nugnes e Fattori - escano dall'Aula, invece di non uniformarsi alla maggioranza. Ma le acque agitate sono legate soprattutto al dopo Sardegna. Un 'big' M5s difende a spada tratta l'operato del responsabile del Lavoro e dello Sviluppo. "Non è possibile che quando prendiamo il 33% è merito di tutti e se andiamo sotto il 10% il demerito è solo di Di Maio", la tesi. "Elezioni locali non hanno alcun impatto sulla vita del Movimento nè tanto meno sul governo. M5s lotta più di prima, è vivo e vegeto", afferma il vicepremier pentastellato.
Il rapporto con la Lega è sempre più difficile
Non la pensa così una parte dei gruppi parlamentari secondo cui occorre cambiare linea e non andare al traino di Salvini. Restano le tensioni sui vari dossier, come sulla Tav per esempio. "Non possiamo accettare - sottolinea uno degli esponenti di punta del Movimento - un sì sulla Torino-Lione. La Lega dovrà piegarsi, magari accettando una sospensione del progetto per alcuni anni, non basta solo a dopo le Europee". La Lega, però non è d'accordo, chiede che arrivi subito un segnale su questo punto, altrimenti sia il voto in Piemonte a 'decidere' sul da farsi.
Sul tavolo poi le questioni dell'Autonomia ("Oggi durante l'audizione nella Commissione parlamentare per le questioni regionali il ministro Stefani ha ammesso che non c'è accordo", riferisce un senatore M5s) e della legittima difesa. Permangono le perplessità sul provvedimento da parte soprattutto dei dissidenti ma l'accordo Di Maio-Salvini è blindato, viene sottolineato, il rinvio di una settimana è solo legato alla possibilità di avere i tempi contingentati ed approvare il testo a metà marzo, insieme alla legge sul voto di scambio. I vertici M5s più che altro puntano il dito sul deficit di comunicazione. È anche il sottosegretario agli Affari regionali del M5S Buffagni a rimarcarlo: "Evidentemente non siamo bravi abbastanza". "Al governo non si può continuare ad avere un approccio barricadero come quello di prima con urla", spiega, "credo sia utile portare a casa risultati concreti".