Chi guiderà la Camera e il Senato? Chi saranno i successori di Laura Boldrini e Pietro Grasso? L'elezione dei presidenti delle camere che avverrà dopo il 23 marzo sarà uno dei test cruciali per la prossima legislatura e per il prossimo governo.
Mentre già cominciano a circolare nomi di candidati e aspiranti alle 2 poltrone più alte di Montecitorio e di Palazzo Madama, occorre innanzitutto capire quale sarà lo schema in base al quale si individueranno le personalità che dovranno dirigere le sedute di deputati e senatori.
Nella prima Repubblica dal 1976 fino al 1994 è stata consuetudine dare la guida della Camera ha un rappresentante dell'opposizione: tutti ricordiamo la figura di Nilde Iotti, Pietro Ingrao e Giorgio Napolitano.
Una prassi cambiata
Nella seconda Repubblica Silvio Berlusconi modificò la prassi e tornò all’elezione di due esponenti della maggioranza, prassi poi mantenuta dai governi di centrosinistra fino a oggi. Ma da sempre, le caselle della seconda e della terza carica dello Stato fanno parte di una partita a scacchi in cui il re e la regina sono solo due delle tante pedine. Per capire cosa succederà da quando, 20 giorni dopo le elezioni, deputati e senatori cominceranno a votare per i loro presidenti, bisogna avere chiari i possibili meccanismi e criteri di scelta. Innanzitutto le modalità di elezione dei due presidenti sono diverse: al Senato se dopo tre votazioni a maggioranza non si elegge nessuno, si procede con una quarta votazione che è un ballottaggio tra i primi due classificati nel terzo scrutinio. Si tratta di una votazione mozzafiato che però ha il pregio della brevità: al massimo in due giorni si sa chi è il vincitore.
Alla Camera invece la ricerca del Presidente può durare giorni e giorni perché dopo un primo scrutinio con il quorum dei due terzi degli aventi diritto, si passa a un quorum dei due terzi dei votanti e, dal quarto scrutinio, alla maggioranza assoluta. Ma soprattutto i partiti dovranno decidere se usare la presidenza delle due Camere per allargare una maggioranza traballante, per imbrigliare un'opposizione riluttante o se invece dovranno saldare un'alleanza litigiosa.
I primi "fantanomi"
Se la vittoria di uno degli schieramenti fosse ampia ma i rapporti tra alleati fossero burrascosi, il leader della coalizione potrebbe decidere di legare a sè l'alleato più capriccioso affidando al suo partito una delle due presidenze. L'altra Camera potrebbe andare a un esponente dell'opposizione per cercare di stabilire rapporti civili ed evitare perenni ostruzionismi. Ecco perché tra i nomi che circolano, ancora tutti di fantapolitica, nel primo caso si pensa a Roberto Calderoli per il Senato e Roberto Fico per la Camera.
Se invece la vittoria fosse risicata o mancassero addirittura alcuni voti, il leader della coalizione vincente potrebbe decidere di offrire la presidenza di uno dei due rami del Parlamento a chi possa portare in dono un pacchetto di voti utili a dar vita a una maggioranza e quindi a un governo. Ecco perché in Forza Italia stanno valutando l'idea di offrire ad Emma Bonino la guida del Senato.
Se infine lo stallo fosse totale con i tre schieramenti principali in sostanziale pareggio, comincerebbero giornate infernali fatte di accordi siglati e poi traditi, carriere politiche infrante e psicodrammi. L'elezione del Presidente della Camera sarebbe un banco di prova per la formazione di una maggioranza che possa poi sostenere anche il governo. E se questa maggioranza fosse di larghe intese una camera potrebbe andare a Forza Italia ed una al PD. Ecco perché sottotraccia si mormora della candidatura di Mariastella Gelmini e Paolo Romani da parte azzurra e Dario Franceschini dall'area dem. Una carta quest'ultima che potrebbe avere un peso determinante nel caso di crisi del renzismo.