Il M5s si gioca l’ultima carta, ben sapendo di avere poche chanches, per stoppare il Rosatellum e manda una lettera di 26 pagine a Sergio Mattarella per chiedere al presidente di non firmare la legge. È incostituzionale, ripete il Movimento di Grillo. Ma dal Quirinale sono già giunti, nell’ultima settimana, ben due segnali seppure indiretti. Il primo sono le parole dello stesso capo dello Stato, che ha spiegato di avere il dovere di firmare le leggi votate dal Parlamento a meno che non “contrastino in palesemente, in maniera chiara, con la Costituzione”. Il secondo è più che altro un rumor che vuole per venerdì o sabato la firma della riforma elettorale.
Cambio di linea e di modi
Insomma, l’esito dell’appello dei grillini a Mattarella sembra scontato. Ma in questo ‘scambio di opinioni’ si possono notare alcuni elementi cruciali per i prossimi mesi. Innanzitutto il tipo di appello del M5s: deposte le armi, annullata l’idea di mobilitare ancora la piazza e organizzare un corteo addirittura sotto le finestre del Quirinale, il M5s ha scelto la via più istituzionale: una lettera dei capigruppo parlamentari. A spiegare questa scelta di cortesia c’è un vero e proprio cambio di passo alla vigila delle elezioni politiche: il Movimento ha deciso, anche attraverso l’investitura di Luigi Di Maio, di togliersi i panni più barricaderi e di indossare quelli più affidabili per convincere anche un elettorato moderato. E poi c’è il desiderio di rimanere in rapporti civili con un Capo dello Stato che non ha mai manifestato pregiudiziali verso nessuna forza politica e che sarà colui che dovrà decidere, risultati del voto politico alla mano, chi incaricare come prossimo presidente del Consiglio.
La disponibilità del Presidente
L’altra conclusione riguarda il comportamento di Sergio Mattarella, che non ha precipitato la firma del Rosatellum, si è preso il tempo necessario per esaminarlo, mostrando di tenere in gran conto non tanto gli appelli di questo o quello, quanto il suo dovere costituzionale: la sua volontà è di esaminare il testo, non le anticipazioni dei giornali, per verificare che non ci siano elementi di palese incostituzionalità. Chi si rivolge a lui, sembra di sentire sussurrare dal Colle, deve essere certo che il Presidente non darà ragione a chi lo tira di più per la giacca ma si atterrà in modo quanto più possibile imparziale al dettato costituzionale.
Massima diplomazia possibile
L’intento del capo dello Stato, cioè, è di non aizzare un clima politico già teso, a maggior ragione mentre al Senato muove i primi passi una manovra economica più difficile che pesante. A fronte di cifre assai risicate, infatti, molti sono le aspettative che si concentrano sulla legge di stabilità di quest’anno: oltre al fisiologico ‘assalto alla diligenza’, i partiti vedono nella manovra la possibilità di introdurre misure da potersi spendere in campagna elettorale nei prossimi quattro mesi. E questo mentre Bruxelles resta con il fucile puntato per evitare che l’Italia allarghi troppo i cordoni della sua borsa. Il capo dello Stato quindi vigila e cerca di far capire, anche per voce di Paolo Gentiloni, che sulla manovra non si può scherzare. E contemporaneamente spera di sminare il campo dalle asperità più gravi della prossima campagna elettorale, sapendo che quando si chiuderanno le urne in primavera, molto probabilmente entro la fine del mese di marzo, comincerà per lui un’opera di pazienza per la formazione del nuovo governo e dunque un esercizio di diplomazia verso tutte le forze politiche, M5s compreso.