Basta girarle intorno per capire che quella piccola e graziosa tazzina di porcellana ha perso la sua solidità e nel tempo immobile all’interno della teca si è cristallizzato il suo disfacimento.
Livia Marin gioca con oggetti quotidiani dove il gioco è quello fruttuoso che induce a seguire pensieri profondi. E il gioco passa da lei che crea a te che guardi.
Quando avviene questa comunicazione, questo passaggio di emozioni, si raggiunge uno stato di grazia che di rado si vive di fronte a molte opere contemporanee.
In questi lavori di Livia Marin ci sono forme e liquefazioni con tutto ciò a cui queste possono rimandare: pensi al Cile dove l’artista è nata e ha vissuto fino a qualche anno fa e a quella forma di stato che si è decomposta tragicamente negli anni della sua adolescenza.
Ma pensi anche alla tua quotidianità fatta di oggetti (situazioni) che ti accompagnano ogni giorno, che accarezzi senza nemmeno più guardare, che rappresentano piccole o grandi certezze e che a volte poi si sfaldano prima che tu possa accorgertene. E tanto altro ti viene da pensare guardando, ad esempio, quel decoro della porcellana che resta intatto pur nello sciogliersi della forma…
Il lavoro della materia e sulla materia è il filo conduttore di Materialmente, ciclo di piccole esposizioni di giovani artisti proposte nella Triennale di Milano da Angelo Crespi, giornalista ed esperto d’arte.
Materia quindi, con la quale gli artisti si mettono in gioco rielaborandola secondo un sentire proprio e contemporaneo pur mantenendo l’aggancio alla tradizione.
Materia che gli artisti lavorano in modo artigianale, in prima persona, esprimendo quelle capacità manuali, tecniche e qualità estetiche cui l’opera d’arte non dovrebbe mai rinunciare.
Così le statuine di porcellana di Francesco De Molfetta (prima mostra del ciclo) che realizza personalmente, seguendo con rigore la tradizione di Capodimonte e abbinando alle forme settecentesche estranianti oggetti della modernità pop.
Così gli animali di Alice Zanin (seconda mostra del ciclo), raffinate creature di cartapesta, solide e aeree, rappresentate in incongrui e silenziosi duetti con oggetti della quotidianità.
E poi le opere in tensione di Beatrice Gallori (terza mostra del ciclo), rosse e lucenti, che fissano sottili equilibri tra forme geometriche stabili e inanimate e forme organiche colte nel movimento: un’energia che, seppure immobilizzata, continua a esercitare “pressione” sull’occhio di chi guarda.
In sintesi, nelle esposizioni di Materialmente la tensione tra sorpresa e divertimento, gli incongrui accostamenti, i rilanci a dimensioni oniriche, le energie in bilico e le forme liquide mettono in movimento l’animo e la mente del visitatore. E questa è una funzione fondamentale dell’arte.
A stimolare il visitatore contribuisce anche l’originale fruizione delle opere che si snodano in un elegante percorso all’interno del Caffè Triennale. Sì, perché l’arte è viva e ci arricchisce se comunica, se ci è vicina, se entra nel nostro quotidiano e ci dona pensiero e bellezza.