Di questo G7 mi ha colpito la distanza. La distanza di un vertice - simbolicamente convocato in Sicilia - che da questa terra rimane lontano. In una realtà quasi surreale scorrono le immagini tv dei quotidiani soccorsi in mare, ma i porti siciliani sono chiusi in questi giorni per motivi di sicurezza. Sicurezza di chi? Non certo dei 1500 profughi sulla nave di MSF, costretta a lanciare un SOS per scarsità di cibo e acqua dato il prolungamento del viaggio verso Napoli.
Distanza di un summit dai problemi più gravi e urgenti del pianeta: 65 milioni di persone nel mondo costrette a fuggire da povertà e guerre. Trenta milioni di persone a rischio fame e colera per la carestia in Sud Sudan, Somalia, Yemen e nel nord della Nigeria. Per loro la mancanza di impegni economici concreti di questo G7 appare come un baratro di fronte alle richieste di aiuto.
Ma se gli interessi economici ed elettorali di breve periodo dei singoli stati prevalgono sulle questioni fondamentali per l’umanità e il futuro del mondo, mi chiedo a cosa serve il G7.
I motivi degli scarsi risultati del vertice sono ben comprensibili. L’irruzione di Trump ha sconvolto la scena internazionale, più di quanto abbia già cambiato gli Stati Uniti. La Brexit di Teresa May e i risultati incerti - fino a solo un mese fa - delle elezioni francesi hanno poi influito significativamente sulla preparazione di un G7 che Renzi aveva voluto a Taormina per portare le migrazioni al centro dell’impegno comune. Purtroppo per l’Italia e per il mondo però non è stato così.
L’unico punto che ha tenuto insieme i leader è stato la lotta al terrorismo, il nemico comune. Sugli altri problemi globali, l’impatto e il senso di urgenza è diverso in ogni paese e il G7 si trova diviso sulle soluzioni. Gentiloni, nella conferenza stampa di chiusura, ha detto che tutto questo non è stato scoperto a Taormina e al nostro Primo Ministro va riconosciuto un grande impegno. Quanto scritto nel comunicato finale del vertice non è probabilmente tanto lontano dal meglio che si poteva fare date le condizioni di partenza.
Sul disaccordo sul clima nessuno ha fatto mistero della delusione. Con grande probabilità, Trump la prossima settimana dirà che gli Stati Uniti non manterranno gli impegni della Conferenza di Parigi. Forse lo farà con una formula meno “rozza”, qualcosa di simile a quella pausa di riflessione che ha usato qui per non far ricordare Taormina, come il fallimento degli accordi sul clima. Vedremo, felici di essere sorpresi.
Parto da Taormina con un grande dubbio e una domanda. Se mai come in questi anni, l’umanità ha avuto bisogno di un governo globale in grado di dare risposte e programmare impegni comuni a problemi epocali come clima, migrazioni, disuguaglianze economiche estreme –senza dimenticare la mai risolta questione demografica - quali sono le sedi in cui queste risposte possono essere date? Tutte le forme di governo comune sono in crisi: Nazioni Unite, Unione Europea, G7, G20. Screditate dagli stessi cittadini che spingono i loro politici ad agire negli interessi nazionali di breve periodo. E’ però il tempo dell’assunzione di responsabilità da parte di tutti, nessuno si può permettere solamente di criticare. Per questo sei paesi che decidono di mantenere gli impegni sul clima indipendentemente da cosa deciderà l’America di Trump, rimane comunque un messaggio importante. A questa domanda dobbiamo trovare una risposta, non possiamo permetterci di non farlo.