"La nostra più grande paura in questi anni è stata la paura dell'ignoto ... della morte. Ci siamo nascosti in casa, senza sapere che cosa sarebbe successo da un momento all’altro, ma certi, in qualche modo, che saremmo stati i prossimi ad essere stanati, colpiti e uccisi. Non so come io e la mia famiglia siamo riusciti a sopravvivere a questa guerra. Ancora oggi ogni giorno dobbiamo fare i conti con la mancanza di acqua pulita e qualsiasi bene di prima necessità, ma soprattutto senza aver alcuna sicurezza sul nostro futuro, sulle nostre vite.”
Amer ha 29 anni, vive ad Arbin, nella Ghouta orientale della Siria e così racconta la sua vita quotidiana negli ultimi anni. Ha provato a portare la sua famiglia in salvo dai bombardamenti e dalle sparatorie in corso nella sua città, ma tutti i suoi tentativi sono stati vani. La sua è una delle tante voci tra i milioni di siriani rimasti in trappola nel mezzo dell’atroce guerra che ha insanguinato la Siria negli ultimi 8 anni, causando oltre 400 mila vittime e lasciando 15,5 milioni di siriani su 18,2 (l’85% della popolazione) senza quasi nessun accesso a fonti d’acqua potabile, con l’80% della popolazione costretta a vivere al di sotto della soglia di povertà.
Uomini, donne e bambini, un terzo della popolazione siriana, senza più una casa costretti a bere, lavarsi con acqua sporca, fare i conti giorno dopo giorno con la mancanza di cibo, medicine, servizi igienico-sanitari anche minimi. Obbligati a dover sopravvivere nella migliore delle ipotesi in rifugi temporanei allestiti dalle organizzazioni umanitarie, che, come Oxfam, sono al lavoro nel Paese dall’inizio della crisi "Non eravamo sicuri che l'acqua che bevevamo fosse potabile ma non avevamo altra scelta", conclude Amer. Ad oggi si contano oltre 6 milioni di sfollati interni alla Siria e oltre 5,6 rifugiati siriani che hanno trovato salvezza nei paesi vicini, soprattutto Turchia, Libano e Giordania.
"La mia famiglia ed io siamo fuggiti dalla Ghouta orientale sei anni fa, quando la situazione è diventata insopportabile. Ci siamo lasciati tutto alle spalle, la nostra terra, il nostro lavoro, la nostra vita. Ora che siamo tornati non riusciamo a vivere in condizioni dignitose, la nostra casa è rimasta danneggiata durante la guerra insieme ad altre infrastrutture come ospedali e scuole. Anche le tubature dell’acqua sono state distrutte quindi le acque di scarico invadono le strade di continuo. Come possiamo vivere così?”, aggiunge Fadi.
Al contrario di Amer, Fadi con la sua famiglia ha invece deciso di tornare nella Ghouta orientale, dopo esser riuscito a fuggire. Sono in tanti come lui che nell’ultimo anno hanno provato a fare ritorno trovandosi però di fronte una città fantasma e palazzi sventrati dall’insensata violenza dell’uomo sull’uomo. Tantissime famiglie sono costrette a sopravvivere in città dove interi quartieri mancano completamente di acqua corrente e servizi igienici. Un contesto terrificante dove le organizzazioni umanitarie fanno il possibile per scongiurare la diffusione di malattie come il colera e il tifo. Per questo, in occasione della recente conferenza di Bruxelles dei Paesi donatori sulla crisi, abbiamo rilanciato un appello urgente alla comunità internazionale perché intervenga al più presto per la riparazione delle infrastrutture essenziali, ridando così la possibilità al popolo siriano di ricostruire il proprio futuro.